I 150 profughi afghani che da due anni vivevano nelle tende nei pressi del terminal sono stati finalmente trasferiti nei centri di accoglienza. Ma è l’ennesima soluzione provvisoria. E il futuro di questi ragazzini in fuga dalla guerra rimane ancora una volta in sospeso
Niente acqua per lavarsi, nessun servizio igienico, un rettangolo d’asfalto per cucinare, poche tende da campeggio per ripararsi durante la notte. Ciò che più colpisce delle storie dei 150 afghani che fino a qualche giorno fa dormivano nel campo di via Capitan Bavastro, nei pressi del faraonico Terminal Ostiense, a Roma, è la granitica abitudine a superare le avversità e a fare gruppo. Anche ora che, dopo una lunga battaglia, sono riusciti ad ottenere dal Comune di Roma lo spostamento in strutture più idonee come il Centro Forlanini, la Casa della Pace e il Faro.
Le operazioni di trasferimento sono iniziate a metà luglio dopo che un centinaio di rifugiati aveva occupato la sede dell’assessorato alle Politiche sociali. Ma si tratta di una soluzione temporanea. Fino al 30 settembre.
E i migranti lo sanno. Le strutture potranno accoglierli solo per la notte, e certamente in tanti torneranno al campo durante il giorno. Il terminal Ostiense continuerà ad essere il punto di riferimento che da due anni è stato per tutti coloro che scappano dall’Afghanistan e giungono in Italia.
Harun annuisce. Ha appena 13 anni e nel campo è arrivato da quattro mesi. Racconta di essersi imbarcato da Patrasso per Ancona. «Ero aggrappato sotto un tir», racconta. «Sono scivolato nei pressi di Forlì, a un semaforo, fortunatamente senza conseguenze». Qualcuno lo ha soccorso, dopodiché lo ha consegnato alla locale Questura, che lo ha identificato. Mi mostra i documenti rilasciatigli in Emilia Romagna, che comprovano la sua età e la modalità con cui è giunto in Italia. Ora vive in una tenda, assieme ad altri due adulti. Ma la sua non è una storia isolata. Nel campo della stazione Ostiense un rifugiato su quattro ha meno di 18 anni.
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