Non profit

I big donors non amano la quantità

Nei loro confronti la "pressione" va moderata

di Redazione

No a remunerazioni a percentuale e programmazione di lungo periodo. Sono queste due delle caratteristiche che distinguono il fundraising dallo sponsoring illustrate la settimana scorsa. Proseguiamo il discorso.
Terza differenza. Sebbene non sia facile trovare venditori di livello (specialmente in questo periodo di crisi economica), la competenza e la figura professionale di un “cercatore di sponsor” è chiara e ben definibile. Si sa cosa fa un venditore di spazi pubblicitari, si possono agevolmente verificare le performance (ha venduto molto, è bravo; ha venduto poco, è scarso). Lo si può monitorare in itinere, si può definire una tempistica. Viceversa il fundraiser non è una figura professionale nota, non si capisce cosa faccia. Via di mezzo fra pubbliche relazioni, commerciale, marketing, psicologo, motivatore, ricopre un ruolo assai difficile da definire (ogni fundraiser interpreta il ruolo a seconda della causa). È quindi poco compreso all’interno delle realtà organizzate e strutturate (come gli enti pubblici).
Più forte è la pressione, più, di solito, si ottiene. In previsione, cinque venditori possono ottenere ragionevolmente certi risultati, se i venditori diventano due o dieci, i risultati sono proporzionali. Viceversa, la pressione nel fundraising conta soltanto nelle piccole donazioni. È abbastanza frequente che se le sollecitazioni di mass-marketing (mailing, dem, telemarketing ecc) aumentano, la raccolta delle piccole donazioni cresca. Dunque è possibile avere maggiore raccolta di tante piccole donazioni aumentando la pressione di richiesta. Ma nel caso delle grandi elargizioni ? che rappresentano tuttora la maggioranza delle donazioni (in termini quantitativi) dei versamenti da individui ? la pressione è, per certi aspetti, persino controproducente. Conta la qualità del rapporto e non la quantità. Conta cogliere il “perché” donare e non il “come” donare.