Se la montagna non va da Maometto, Maometto va dalla montagna. Visto che lo slogan “la Cina è vicina” è rimasto, per i giovani del Sessantotto italiano, una promessa non mantenuta, ci hanno pensato gli orientali –già da parecchi anni- ad accostarsi al nostro modello consumistico. E con che grinta, con che determinazione. Con quale ferocia, verrebbe da aggiungere. Sarà anche vero che il capitalismo è in fase calante ma di sicuro, lì a Est, assesta dei colpi di coda rimbombanti.
I risultati di una nuova
ricerca IPSOS parlano chiaro:
il 71% dei cinesi, alla domanda: “Valutate il vostro successo personale a seconda delle cose che possedete?”, ha risposto: “Sì”. Dal sondaggio, che ha preso in esame oltre 16.000 persone in 20 nazioni, emerge dunque che
la Cina è il Paese più materialista del mondo. Seguita a ruota dall’India, col 58%. I più virtuosi –tenendo conto dei parametri del nostro giornale, secondo cui il senso della vita va ricercato soprattutto nella spiritualità, che è un bene più importante e durevole- sono
gli svedesi: solo il 7% di loro identifica il successo coi possedimenti mondani. La media mondiale è 34% -la Francia si colloca proprio in questa posizione. E gli italiani? 22%, come i giapponesi.
È lecito domandarsi quanto sia realistica questa classifica. Nel senso che, trattandosi di un tema così personale, riguardante l’immagine che abbiamo di noi stessi ma soprattutto l’immagine che proiettiamo sugli altri, è probabile che in tanti non siano stati sinceri –vuoi per pudore, vuoi per consegnare il proprio lato positivo ai posteri. Ma allora, a questo punto, c’è un’altra curiosità: come mai gli americani –generalmente il popolo più spudorato nell’esaltare il valore dell’effimero- sono parecchio in fondo alla classifica, col loro 21% ? Il 58% degli indiani non stupisce più di tanto –certamente sono conosciuti per la spiritualità, ma nessuno ha mai pensato che la maggioranza della popolazione pratichi l’ascetismo; il 21% degli statunitensi, di contro, se è un dato realistico sarebbe una gran bella notizia.
Cosa desiderano i cinesi dell’epoca 2.0? Tanto per cominciare un appartamento, una macchina, uno smartphone, una fotocamera SLR e un computer portatile. Poi –melius abundare– vestiti firmati e arredamento. Siamo ben lontani, insomma, dall’epoca dei “three circles and a speaker” –bicicletta, orologio, macchina per cucire e radio- sogno proibito dell’epoca maoista.
Ma perché una persona decide di fondare la propria esistenza sui beni fuggevoli? La seconda domanda del sondaggio IPSOS fornisce una spiegazione a questo riguardo. È stato chiesto alla gente comune se si riconosce nella frase: “La società vi mette sotto pressione affinché abbiate successo e facciate soldi?” . Anche in questo caso, i cinesi si sono fatti valere: il 68% ha risposto affermativamente. Stavolta, i più virtuosi siamo noi italiani, col 25% -a seguire la Svezia col 26% e il Giappone col 29%. La media generale, riguardo a questo specifico quesito, è 46%.
I cinesi, dunque, non hanno fatto un’ottima figura. Però, in compenso, il cielo sopra Pechino si tinge di ottimismo: il 56% si è dichiarato ottimista riguardo alle personali prospettive per l’anno a venire. C’è però chi ha un approccio ancor più positivo verso il proprio futuro: Sudafrica (75%); Brasile (74%); Svezia (73%); Canada, Argentina e India (71%). L’Italia, questa volta, è fanalino di coda in negativo: il 46% dei nostri concittadini vede davanti a sé un buon 2014 (la Corea del Sud è ultima, col 39%). Le percentuali, comprensibilmente, sono ancora più basse quando viene chiesto se sono ottimisti riguardo al proprio Paese: vince l’India col 53%, ultimo posto per la Francia col 9% (l’Italia, ferma al 10%, non è molto distante dai cugini d’Oltralpe).
«La Rivoluzione» , diceva il “Timoniere” Mao Zedong, «non è un pranzo di gala». Lo hanno preso in parola, i suoi connazionali: non è una tavola lussuosa l’oggetto dei loro desideri, bensì l’oggettistica pop, che tutti ci unisce nel grande Villaggio Globale.
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