Bibbiano

I servizi sociali? Sono a fianco delle famiglie, non contro

Con Bibbiano, i servizi che si occupano di tutela dei minori sono stati colpiti da una campagna mediatica diffamatoria, che ha scatenato una grande sfiducia nella loro funzione. Ma la protezione dell’infanzia è un interesse collettivo

di Veronica Rossi

Una donna e un uomo tengono per mano un bambino che sta in mezzo, sono controluce, al tramonto

La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, che ha assolto 11 su 14 degli imputati legati al caso Bibbiano (e ha comminato tre condanne minori, non legate ad abusi sui bambini), ha messo in chiaro che i servizi non sono quei “Demoni” dipinti dalla campagna diffamatoria scatenata da politici e media. Anzi, secondo Teresa Bertotti, assistente sociale specialista e sociologa, che per molto tempo ha lavorato nel Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare di Milano e che ora è professoressa associata di servizio sociale all’università di Trento, sono una risorsa preziosissima, che vigila sui bambini, il futuro della nostra società. I servizi contribuiscono a proteggere un «interesse collettivo». «L’infanzia è “il regalo del possibile”, come diceva Aldo Fortunati dell’Istituto degli Innocenti. E consentire ai bambini di crescere al meglio e di sviluppare le loro potenzialità, al di là di ogni spinta individualistica, è un compito comune».

Cosa ha visto succedere nel mondo dei servizi sociali dopo Bibbiano?

Nel momento in cui è successo, c’era incredulità; da parte di chi, come me, lavora da tanti anni in quest’ambito era fin da subito forte l’impressione che i fatti fossero ingigantiti e travistati. Col tempo, c’è stata una campagna mediatica impressionante e irresponsabile. Sono state fatte gravi dichiarazioni dalla stampa e dai politici, molto aggressive e poco equilibrate nel cercare di capire cosa fosse realmente successo. I professionisti direttamente coinvolti hanno avuto delle conseguenze personali pesantissime: la sospensione delle loro attività, minacce, isolamento.

E l’opinione pubblica?

Non so se ci siano degli studi di come si sia sviluppata e che effetti abbia avuto – sarebbe interessante! – ma l’impressione è che, dopo una prima fase di incredulità, il mondo si sia diviso in due. Da un lato coloro che sposavano il teorema del“sistema Bibbiano” e dei servizi come “demoni” – lo stesso nome dato all’inchiesta giudiziaria la dice lunga – e alimentavano l’attacco e la sfiducia verso i servizi. Dall’altro, coloro che invece cercavano di tenere i nervi saldi e di comprendere cosa fosse successo. Purtroppo, ha vinto il primo filone: si è diffuso un clima di diffidenza e in diversi territori le domande di aiuto diretto da parte delle famiglie sono drasticamente diminuite, così come si è ridotta la disponibilità delle famiglie all’accoglienza di bambini in affido familiare. Questo secondo me è uno dei danni più grandi della vicenda.

Si è diffuso un clima di diffidenza e le domande di aiuto diretto da parte delle famiglie sono drasticamente diminuite, così come si è ridotta la disponibilità delle famiglie all’accoglienza. Questo secondo me è uno dei danni più grandi della vicenda

In che senso?

Quando un genitore è in difficoltà, cercare aiuto fuori dal proprio nucleo è un passaggio estremamente delicato, che le persone fanno sempre in maniera un po’ titubante, perché si mettono nelle mani di persone che non conoscono. Marisa Pittaluga ha definito l’assistente sociale “l’estraneo di fiducia”, un ossimoro molto interessante perché fa capire la situazione. Una mamma che ha difficoltà che non riesce a risolvere, per cui i bambini soffrono, si trova a uscire dal proprio guscio e raccontare vicende molto intime a una persona estranea. Non sa bene cosa si può e si debba fare, ma prova a chiedere aiuto. E lo fa rivolgendosi ad un ‘servizio’ che ha questa funzione. Lo fa spinta dalla speranza di risolvere i problemi e da una fiducia che chiamiamo ‘sistemica’, ovvero legata al ‘sistema’ e alla funzione istituzionale del servizio, alla sua immagine. Se i servizi sociali vengono svalutati e aggrediti, questa spinta viene distrutta e minacciata. Così, quando succede qualcosa, i genitori non si rivolgono ai servizi, cercano di risolvere i problemi per conto proprio, ma a volte non sanno come fare. Soprattutto nei casi gravi – come quando c’è il sospetto di un abuso sessuale – non si può trovare una soluzione da soli, bisogna farsi aiutare. C’è poi un’altra riflessione che vorrei fare sui danni provocati dalla campagna su Bibbiano.

Se i servizi sociali vengono svalutati e aggrediti, quando succede qualcosa i genitori non si rivolgono ai servizi, ma cercano di risolvere i problemi per conto proprio. Ma soprattutto nei casi gravi non si può trovare una soluzione da soli, bisogna farsi aiutare

Quale?

Noi attribuiamo allo Stato – di cui i servizi sociali fanno parte – la responsabilità e il compito di proteggere le persone, quando non sono in grado di farlo da sole. Ovviamente nel perimetro normativo. Il tema dell’intervento dello Stato nelle vita privata delle famiglie, in nome della protezione, è un tema centrale in tutte le democrazie sviluppate, su cui periodicamente si accende il dibattito. In alcune interviste che abbiamo fatto questa domanda a ragazzi che hanno vissuto in comunità, abbiamo chiesto il loro parere su questo punto. Alla domanda se ritenevano giusto che lo Stato intervenisse nella famiglia quando i bambini stanno male, la loro risposta è stata netta e senza esitazioni: sì, è giusto. Anzi, hanno detto che spesso questo intervento avviene troppo tardi e che nella loro esperienza tante volte le persone attorno a loro e sapevano ma non facevano nulla. Dopo Bibbiano, però, si è diffusa la convinzione che nella sfera privata delle famiglie sia meglio non entrare. È molto importante che il processo oggi abbia fatto chiarezza, perché spero aiuti a ricollocare il senso della protezione dei bambini e che, certo, a nessuno piace che un bambino debba essere allontanato dalla sua famiglia, ma è importante che non ci si giri dall’altra parte e che si mettano in campo tutte le nostre conoscenze e competenze per migliorare.

Ora che il Tribunale ha riconosciuto che non era accaduto sostanzialmente nulla di quello di cui si parlava – manipolazioni, disegni artefatti, elettroshock – cosa dovrebbero fare, secondo lei, le istituzioni per riparare al danno che è stato fatto?

È auspicabile che si impegnino per ricostruire la fiducia delle persone nel sistema di welfare. Vorrei che si impegnassero a veicolare il messaggio che i servizi non sono degli “avversari”, non sono lì per accusare, o trovare un “colpevole” ma sono lì per cercare di affrontare insieme un problema e restituire ai bambini e alle bambine delle possibilità. Mi piace pensare che i bambini e le bambine siano un interesse comune e che, richiamando l’ormai stracitato proverbio africano che dice che «per crescere un bambino ci vuole un villaggio», i servizi e le istituzioni vengano visti come parte di questo villaggio. Come dicevo all’inizio, permettere ai più piccoli di esprimere le loro migliori potenzialità è un interesse collettivo. Nell’espandere le proprie risorse e potenzialità i bimbi possono essere frenati o danneggiati dalle situazioni contestuali come la povertà, la migrazione, la malattia, i contesti ambientali aggressivi, ma anche da quanto accade all’interno delle relazioni familiari. È difficile fare i genitori oggi, perché tante solo le sfide e i cambiamenti: è bello, ma è complesso. Vorrei che ci fosse un messaggio di fiducia: le famiglie non sono sole, siamo insieme in questo cammino. Mi piacerebbe anche che ci fossero delle scuse…

La tutela dell’infanzia è un interesse collettivo e che i servizi hanno un ruolo cruciale e prezioso in questo processo

Da parte di chi?

Da parte di chi, allora, ha pesantemente attaccato e cavalcato lo scandalo, alimentando una linea di distruzione dei servizi e ora ha posizioni pubbliche e rilevanti responsabilità istituzionali. La loro voce – e le loro scuse – potrebbe avere un bell’impatto positivo. Va detto che, sul piano delle politiche e degli interventi, a livello nazionale c’è un importante sforzo di investimento nelle politiche sociale e nelle politiche di sostegno alla famiglia. Nel discorso pubblico, sarebbe utile ribadire e rafforzare che la tutela dell’infanzia è un interesse collettivo e che i servizi hanno un ruolo cruciale e prezioso in questo processo. Sarebbe utile tenere a mente che anche quando si rende necessario collocare un bambino fuori dalla famiglia, questo non è una disgrazia conclusiva, ma che è – può essere – l’inizio di un nuovo percorso, che può portare a restituire le possibilità di una vita buona e creativa. Per i bambini ma spesso anche per gli adulti.

Foto in apertura da Pixabay

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