Mondo
I timori di Amnesty per i detenuti pro-Gheddafi
Amnesty International esprime preoccupazione per la sorte dei libici di carnagione scura e degli africani subshariani
di Redazione
Forti timori per la situazione delle persone sospettate di aver combattuto dalla parte del colonnello Gheddafi, soprattutto libici di carnagione scura e cittadini dell’Africa subsahariana sono strati espressi da Amnesty Internationale. Una delegazione dell’organizzazione, presente in Libia, ha visitato lunedi 29 agosto l’ospedale centrale di Tripoli, dove ha visto tre thuuwar (combattenti dell’opposizione), in abiti civili, trascinare via dal suo letto e arrestare un paziente di carnagione scura, proveniente dalla città di Tawargha.
I tre uomini hanno dichiarato che avrebbero portato il paziente a Misurata per interrogatori, sottolineando che chi esegue gli interrogatori a Tripoli «lascia gli assassini in libertà».
Due altri libici di carnagione scura, ricoverati in ospedale per ferite da arma da fuoco, sono stati ammoniti che «il loro turno» stava arrivando.
La delegazione di Amnesty International ha anche assistito al pestaggio di un uomo, fuori dall’ospedale, da parte di un gruppo di thuuwar. La vittima gridava «non sono uno della quinta colonna», come vengono definiti coloro che sono stati dalla parte di Gheddafi.
«Nel giro di un’ora, la delegazione di Amnesty International ha visto un uomo essere picchiato e un altro portato via dall’ospedale verso destinazione sconosciuta», ha dichiarato Claudio Cordone, di Amnesty International. «Abbiamo paura di quello che potrà succedere ai detenuti, fuori dalla vista di osservatori indipendenti»
A maggio, il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) aveva diramato linee guida chiedendo alle proprie forze di agire nel rispetto delle leggi e degli standard internazionali. Negli ultimi giorni, il Cnt ha inviato sms ai suoi uomini chiedendo di trattare i prigionieri con dignità e di evitare attacchi di rappresaglia.
«Apprezziamo queste iniziative da parte del Cnt. Ma deve fare di più per garantire che i suoi combattenti non compiano violazioni ai danni dei detenuti, specialmente di coloro che sono più vulnerabili come i libici di carnagione scura e gli africani subsahariani», ha commentato Cordone. «I combattenti coinvolti in queste violazioni devono essere immediatamente sospesi in attesa di indagini. Tutti i crimini, a prescindere da chi li abbia commessi, devono essere indagati e i loro responsabili sottoposti a processo».
I combattenti thuuwar hanno riferito ai delegati di Amnesty International che stavano portando via il paziente di Tawargha perché pensavano che la direzione dell’ospedale intendesse proteggere un uomo ritenuto fedele a Gheddafi. Il medico di turno ha autorizzato l’arresto, nonostante le proteste di Amnesty International.
A Tawargha vivono molti libici di carnagione scura. Secondo gli abitanti di Misurata, quelli di Tawargha sarebbero coinvolti nelle peggiori violazioni dei diritti umani commesse durante l’assedio e il costante bombardamento di Misurata, durato circa un mese.
I cittadini provenienti dall’Africa subsahariana sono particolarmente esposti a violazioni dei diritti umani. Molti di essi rischiano rappresaglie per il fatto di essere percepiti come “mercenari africani” assoldati dalle forze di Gheddafi per compiere violazioni di massa durante il conflitto.
Durante le visite nei centri di detenzione di al-Zawiya e Tripoli, ad Amnesty International è stato riferito che tra un terzo e la metà dei prigionieri proveniva dall’Africa subsahariana.
Inoltre, il 29 agosto, Amnesty International ha esaminato il cadavere di un uomo non identificato, di carnagione scura, portato all’obitorio del Centro medico di Tripoli quella mattina da sconosciuti. Aveva i piedi e il torso legati e, pur non presentando segni visibili di ferite, aveva sangue rappreso intorno alla bocca. Era morto da poco. Non è stato reperito alcun referto di autopsia e non sono state comunicate le generalità dell’uomo. Il giorno prima, il 28 agosto, Amnesty International aveva incontrato un gruppo di eritrei che si nascondeva in una casa, in un quartiere povero di Tripoli. Rimanevano in casa, hanno raccontato, per timore di violenza. Erano senza elettricità e senza acqua potabile.
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