Le finalità sono chiare. Il non profit respinge al mittente le perplessità sollevate dalla ricerca Gli stagisti italiani allo specchio secondo cui gli obiettivi del terzo settore non sarebbero chiaramente definiti. «Nella nostra testa sappiamo bene che cosa fare. Anzi, acquisiamo sempre più consapevolezza col tempo», replica Sergio Marelli, direttore generale di Volontari nel mondo-Focsiv ed ex presidente dell’Associazione delle ong italiane. Sulla stessa lunghezza d’onda Marco Granelli, del CSVnet – Coordinamento nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, che insiste però sull’opportunità di «migliorare la capacità di rendicontazione delle organizzazioni al fine di rafforzarne la mission».
Meno nette le posizioni sul secondo punto dolente: la fatica nel trasformare lo stage in contratto di lavoro. «Sì, è così. Dipende dalla difficoltà di reperire le risorse e, soprattutto, dalla natura delle nostre attività: a progetto», ammette Marelli. «Nel non profit ci sono stage per l’inserimento lavorativo e per favorire la conoscenza delle organizzazioni. Noi ci occupiamo soprattutto dei secondi: le odv infatti hanno sì personale ma soprattutto volontari», spiega Granelli.
Il difetto, osserva Giorgio Fiorentini, direttore del master in Management delle aziende cooperative e imprese sociali non profit della Bocconi (placement al 90%), sta nel manico. «Se il soggetto promotore ha potere negoziale rispetto al mercato degli stage ci sarà un buon esito, altrimenti c’è il rischio di finire a fare le fotocopie».
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