Mondo

Il Conclave, secondo “lei”

Sono la parte più vitale della Chiesa, ma il loro parere nella scelta del Pontefice non conta. Per interpretare quello che accade in Vaticano, abbiamo provato a dar voce a quattro donne che di Chiesa ne sanno parecchio

di Redazione

Sono oltre 700mila le religiose oggi nel mondo, contro i 390mila tra sacerdoti, religiosi e diaconi. E, tra le vocazioni, l’unico dato che sembra non sentire la crisi è quello delle donne che scelgono la clausura: sono oltre 40mila nel mondo, di cui 7mila in Italia. Un dato che non campeggia nel mainstream di celebrazioni e approfondimenti in occasione di questo 8 marzo, Festa della donna. Ma è da questa constatazione –  non solo numerica – che si può provare ad affrontare quel che accade nella Chiesa di oggi attraverso lo sguardo e la sensibilità femminile.Un punto di vista che apre prospettive davvero non scontate.

«La Chiesa è un’istituzione prevalentemente femminile per quel che riguarda la sua composizione come anche le sue origini», commenta Luisa Muraro, filosofa e scrittrice, esponente del “secondo femminismo”. «Anche se come capita spesso, chi dice “chiesa” pensa non alla comunità delle e dei credenti – che è il significato della parola “chiesa” – ma alla gerarchia, che in effetti, nella Chiesa cattolica come in quella ortodossa, è tutta maschile». Forse che il gesto di Benedetto XVI, la sua ammissione di fragilità, la rinuncia ad uno status di “potenza”, possa essere letto come riemersione di quell’anima femminile che segna l’identità della Chiesa cattolica?

Prende il via da questa ipotesi il servizio pubblicato sul numero di marzo di Vita (dall'8 marzo in edicola e nelle librerie Feltrinelli), "Il Papa visto da lei", che prova a leggere quel che sta accadendo in questi giorni delicati tra le acre mura vaticane attraverso lo sguardo e gli interventi di quattro donne: oltre a Luisa Muraro, Cristina Simonelli, presidente delle teologhe italiane, Gloria Mari, consacrata e Chiara Giaccardi, sociologa e docente alla Cattolica di Milano.

Gli spunti inattesi non mancano, e anche l'evidenza di alcune incomprensioni mai sopite. Abbiamo chiesto per esempio a Muraro un parere sulla “Lettera ai Vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo" che Ratzinger scrisse nel 2004, quando era ancora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e che la scrittrice commentò positivamente su il Manifesto. E che ora osserva: «Era un'intervento di buona qualità filosofica, che vuol dire che si prestava a un confronto di posizioni. Era politicamente aggiornata sui cambiamenti in corso, in particolare nel campo del lavoro. Aveva il difetto, frequente nei documenti della chiesa, di reagire a posizioni giudicate erronee. Qui si trattava della gender theory, che allora era incarnata da una femminista Usa nota anche in Italia, Judith Butler. Nemmeno io condividevo questa teoria, ma era secondario rispetto al fatto che la Lettera del futuro Papa, oltre a dire un certo numero di cose giuste, apriva un terreno di discussione con il femminismo radicale. Domanda: possiamo stabilire un qualche rapporto tra quella presa di posizione e il gesto di “umile potenza” delle dimissioni? E stabilirlo nel terreno femminile, quello del Magnificat di Maria di Nazaret? Ironicamente, sì. La Lettera, infatti, non fu scritta da lui, Ratzinger, fu scritta da una lei, e lui l’ha sottoscritta. Integralmente o dopo averla modificata? Non lo so e non ho prove su niente di quello che ho detto. Il Vaticano è un luogo non trasparente; da parte mia, nessuna obiezione, la trasparenza la pretendo dai vetri. Divenuto Papa, Joseph Ratzinger non mostrò alcun interesse per i temi del femminismo, il che rinforzò i miei dubbi che lui fosse l’autore, m’informai e venni a sapere che lui l’aveva soltanto sottoscritta, secondo una prassi che dalle sue parti è accettata».

Gli interventi completi di Luisa Muraro, Cristina Simonelli, Gloria Mari e Chiara Giaccardi sul numero di marzo di Vita, dall'8 marzo in edicola e nelle librerie Feltrinelli.

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