Non profit
Il diario di un pediatra del Bambino Gesù
Michele Salata racconta la sua esperienzaa Port au Prince
di Redazione
Il 30 gennaio scorso è partito alla volta di Haiti il primo medico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù con il compito di far fronte alle esigenze sanitarie, anche elementari, delle popolazioni terremotate. Michele Salata, pediatra, ha collaborato per il Bambino Gesù con la rete di assistenza creata sui luoghi del disastro. Di ritorno dal viaggio, ha voluto raccontare la sua toccante esperienza. Sul Portale Sanitario Pediatrico www.ospedalebambinogesu.it, oltre al racconto, anche il diario della missione attraverso gli SMS spediti in Italia.
«Sono tornato da una settimana, risucchiato nei ritmi frenetici del “nostro mondo”, ma il pensiero ed il cuore sono rimasti lì… Il giorno della partenza da Port au Prince ho cercato di imprimere nel mio cuore il volto del maggior numero possibile di quei bimbi. Lasciare il nostro reparto “Bouquet de fleur” (questo è il suo meraviglioso nome!) è stata davvero dura! Lì c’erano ancora moltissimi bimbi in condizioni critiche, la cui vita è appesa ad un filo e per loro ci sono solo pochissime risorse, basta una piccolissima cosa non fatta correttamente e tutto può precipitare.
Ogni giorno faccio mentalmente “il giro del reparto” e rivedo i loro occhi, le loro smorfie, sento le loro urla quando avevano fame. Sono stati quindici giorni che hanno segnato per sempre la mia vita. Troppe volte siamo abituati a vedere ogni tragedia in televisione e sui giornali, sembra quasi normale che esistano tutte queste sofferenze, o peggio, sembra quasi di stare a guardare un film… poi spegniamo la televisione e torniamo alla nostra vita fatta di ogni comodità e alla quale non manca nulla!
Quando però ti trovi dentro a quel film tutto cambia, il bimbo che è morto, l’ho tenuto in braccio, gli occhi del prematuro che è morto hanno penetrato la mia anima, hanno chiesto il mio aiuto… e noi non ce l’abbiamo fatta… Non trovo le risposte a tutto questo.
Al di là della storia di ogni popolo, delle responsabilità dei nostri Paesi nel corso del tempo, anche oggi ci sono milioni di persone, di bambini che vivono nella miseria più assoluta, che non hanno da mangiare, che non sanno se il loro figlio, appena nato, ce la farà a sopravvivere, o se una stupidissima infezione se lo porterà via in un batter d’occhi. Stupidissima infezione perché, qui da noi, quei bimbi non sarebbero morti!
Quante volte mi sono trovato sconsolato, impotente davanti a quei bimbi che stavano morendo e arrabbiato, sì arrabbiato, perché sapevo quello che potevo fare qui da noi e lì potevo solo stare a guardare, potevo solo far stare quel piccolino tra le braccia della sua mamma aspettando che, come un angioletto, volasse in cielo.
Tutto questo ti rimane dentro e, a quanto pare, la tragedia non è finita… Ho ricevuto proprio adesso l’SMS da un’infermiera che è ancora lì: “Tutto bene grazie. Alle 1.20 ci siamo precipitati tutti fuori, ce ne sono state due di scosse. Abbiamo portato fuori tutti i pazienti nel giardino, rassicurato i bimbi e tornati in stanza alle 4. Con la porta aperta, la luce accesa, pronti a scappare!”. Sembra proprio non esserci pace per quella gente. Ma perché quei bambini devono soffrire così?
Rubo ancora una riga per un grazie infinito a tutti coloro che mi hanno permesso di vivere questa esperienza.»
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