La crisi non è solo economica. Implica una serie di cambiamenti anche culturali e comportamentali. Inoltre accelera dei processi che vengono da lontano, come quello del cambiamento nel modo di intendere la donazione da parte dei sostenitori delle organizzazioni. Se si vuole avere successo e prepararsi al futuro non si può ignorare le nuove aspettative dei donatori. Concretezza, capacità di condivisione, trasparenza e social networking diventano dei must dai quali è impossibile prescindere.Ci siamo in mezzo. Qualcuno dice che sta per passare. Altri dicono che il peggio deve ancora arrivare. La crisi in ogni caso continua ad aleggiare come cappa incombente sulle nostre teste e come sfondo delle nostre riflessioni. Ma qual è il reale impatto della crisi sul mondo delle organizzazioni non profit? E come è opportuno muoversi per il fund raising in questo contesto?
Realismo. L’esito più pericoloso della crisi rischia di essere quello di portarci ad una percezione falsata della realtà. I dati che abbiamo sull’andamento delle donazioni nell’ultimo anno dicono che anche se imprese e fondazioni hanno, come era prevedibile, diminuito improvvisamente le proprie elargizioni, le donazioni da parte dei privati sono rimaste sostanzialmente invariate ed anzi in molti casi, come ha mostrato in una sua ricerca l’Istituto italiano delle donazioni, hanno registrato un incremento. Segno che l’egoismo non è necessariamente l’unica risposta al prefigurarsi di un periodo di ristrettezze economiche. Essere più attenti a come si spendono i soldi non vuole necessariamente dire diventare più ingenerosi.Nuovo scenario. In realtà, come ha notato giustamente in suo recente intervento al Festival del Fundraising Massimo Coen Cagli, quello che la crisi sta accelerando è un processo che è già in atto da tempo: un cambiamento profondo nel modo di concepire la donazione. Si sta passando molto rapidamente dal vecchio paradigma della filantropia, in cui la donazione è vissuta quasi come un consumo voluttuario, ad una concezione molto più sensibile al ritorno in termini di utilità sociale della donazione. Quella che la crisi minaccia con più forza è la concezione retorica e “marketing oriented” del fundraising, in cui gli aspetti promozionali e il ritorno di immagine sono prevalenti sulla concretezza della mission dell’organizzazione. Il nostro donatore ha meno disponibilità economica e se, come sembra, non rinuncia a donare vuole però che la sua donazione sia il meglio speso possibile. Si chiederà quindi in che misura la causa che gli proponiamo di sostenere abbia effetti sul suo mondo, il che non significa necessariamente che deve essere legata a qualcosa di materialmente vicino a lui. Dobbiamo quindi riguardare la mission della nostra organizzazione e riprecisarla perché sia il più condivisibile e comprensibile ai nostri donatori proprio in termini di ritorno sulla qualità della vita.Contatto. Un’altra conseguenza del mutamento di scenario che la crisi sta determinando è l’importanza di migliorare la relazione con i propri donatori, di aumentare le occasioni di confronto e di scambio. Sempre maggiore importanza, in questo contesto, assume anche la rendicontazione sulle attività dell’organizzazione. Anche il social networking, di cui abbiamo già parlato in questo spazio, riceve effetti benefici dalla crisi. Osservando il nuovo atteggiamento dei donatori comprendiamo infatti che la capacità di creare rete, di stabilire e mantenere relazioni con i sostenitori dell’organizzazione è di vitale importanza. È importante però rendersi conto che Facebook e gli altri strumenti informatici di social networking non possono sostituire il contatto diretto, la condivisione di momenti comuni, gli incontri. Joe Rospars, guru della campagna elettorale di Obama, ha dichiarato che il ruolo più importante che ha avuto il web è stato quello di contribuire ad «avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto più grande di persone».
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