Fare sistema. Alti standard tecnologici. Investire in ricerca e sviluppo. Al tris d?assi, ripetuto come un mantra per rilanciare un?Italia inchiodata a tassi di crescita da prefisso telefonico, si aggiunge un quarto motore: quello della Corporate social responsibility come fattore di innovazione sociale ed economica.
A proporlo è Fondazione Ibm che ne ha illustrato il 29 maggio, in un convegno a Roma, opportunità di sviluppo e nuovi modelli culturali per «affrontare le sfide della globalizzazione». Una strategia che parte dal sociale per rimettere benzina al tessuto produttivo, condivisa dai partecipanti all?appuntamento: Telecom Italia, Eni, Enel, Vodafone Italia, Sodalitas e Abi. E soprattutto da Stanley Litow, vicepresidente di Ibm con delega alla Csr. «L?incontro», ha spiegato Angelo Failla, direttore della Fondazione Ibm, «è nato per promuovere una cultura genuina della Csr, quella dell?impegno quotidiano delle imprese nell?innovazione sociale». Una forte attenzione alle istanze degli stakeholder, la corporate citizenship come definita da Ibm che, superata la filantropia, diviene elemento delle strategie d?impresa e fattore di social innovation. «È il mercato che premia le best practice delle aziende, anche se si rende necessario un riconoscimento da parte delle istituzioni. Il legislatore dovrebbe mettere in moto meccanismi incentivanti per le imprese che implementano la csr e sanzionatori nel caso di cattivi comportamenti».
Ma non basta. Fondazione Ibm ha in cantiere diversi progetti di coinvolgimento dei propri manager nelle comunità, come la collaborazione con le ong. Ibm spinge i giovani manager a stage formativi nei Paesi in via di sviluppo, offrendo il proprio know how alle organizzazioni non governative.
E c?è la tecnologia per il sociale: l?ultima partnership Ibm è il World Community Grid, soluzioni informatiche per tentare di rispondere al problema della scarsità di cibo e dell?alto costo delle materie prime.
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