Ambiente
Il Ponte sullo Stretto, l’ostacolo che mette in pericolo le rotte migratorie
Il Ponte sarebbe deleterio per le specie rare e protette, almeno 327, che ogni anno sorvolano migrando lo Stretto di Messina. Per Anna Giordano, consulente del Wwf Italia con oltre 40 anni di impegno per l'ambiente, «ogni equilibro naturale verrà distrutto. Interi stormi esausti potrebbero scontarsi con questo enorme ostacolo che impedirebbe la rotta migratoria»

Quanti sanno che lo Stretto di Messina risulta tra i 28 siti più belli e importanti del mondo per le migrazioni? Se si vogliono ammirare specie rare che transitano per raggiungere mete lontane, bisogna venire qui, in questa oasi in cui la natura la fa da padrona, a osservare il passaggio dalla rotta migratoria più importante al mondo. Impossibile pensare che una struttura imponente come il Ponte possa non incidere in quella meraviglia che la natura ci offre.
Dell’impatto del Ponte sull’equilibrio naturale dello Stretto ci parla Anna Giordano, ambientalista nel dna, consulente del Wwf Italia, vincitrice nel 1998 del Premio Goldman per l’ambiente grazie al suo impegno per la protezione degli uccelli selvatici, in modo particolare i rapaci: per difenderli, alla fine degli anni Ottanta, entrò nel mirino dei cacciatori che non le risparmiarono minacce e intimidazioni anche molto pesanti.
Lo Stretto, quindi, quale rotta migratoria più importante al mondo…
Soprattutto in primavera, in particolare per quattro specie, due delle quali minacciate a livello globale: l’Albanella Pallida e il Grillaio. Che sia una rotta migratoria di importanza internazionale lo dicono gli studi e le ricerche ad alto livello. Tra quelle osservate da noi, quelle ricoverate al Centro recupero e quelle citate nella bibliografia scientifica, parliamo di 327 specie diverse.

Quando il governo italiano è stato messo in mora per avere violato le direttive “uccelli” e “habitat”, i tecnici del Ponte hanno dovuto approfondire l’aspetto della migrazione e così hanno incaricato la Stazione ornitologica svizzera di un monitoraggio, così è stato installato un radar, anche se solo per un periodo molto breve. La migrazione solitamente inizia a fine gennaio e si conclude a fine giugno ma, mentre volge al termine quella primaverile, parte già quella autunnale, quindi è un flusso che continua tutto l’anno. E questo anche se cambia tutto da popolazione a popolazione, da specie a specie. Già da metà luglio iniziamo a vedere i primi flussi migratori che si dirigono a sud. In questi giorni, per esempio, c’è il clou dei Pecchiaioli che stanno andando in Africa. Il radar, in un solo mese e dieci giorni, ha censito addirittura 4 milioni e 300mila uccelli che transitavano di notte. E ha monitorato solo un angolino dello Stretto. Questa, si sa, è una zona ventosissima e gli uccelli passano una volta più in alto, una volta più in basso. Il meteo poi è il vero elemento che governa la migrazione, quindi non possiamo mai prevedere quali condizioni avremo, se e quanti falchi pecchiaioli ce la faranno o meno.
Messina, nel 1992, vide il record mondiale di transito del “falco cuculo”…
In soli tre giorni 5mila falchi e in tutta la stagione 6.882, praticamente quasi l’intera popolazione europea. Perché parlo di questo rapace? Perché è uno splendido esemplare che migra in un picco temporale molto particolare, tra il 25 e il 28 aprile. Proprio in quei giorni di 33 anni fa si è verificato un caso finora unico nei 42 anni di campi portati avanti dal Wwf. Un po’ di esperienza posso dire di averla, dal momento che il mio attivismo comincia quando avevo 15 anni. Ecco perché dico che ad oggi, quello è stato un evento eccezionale. Non possiamo sapere però se si potrà ripetere, magari con un’altra specie. Una migrazione di tale portata si potrebbe ripresentare da qualche altra parte del mondo, registrando numeri eccezionali sempre durante la notte, ma al momento l’unico dato significativo è questo.

Ogni specie è diversa dalle altre, quindi.
Ci sono specie che migrano di notte, per esempio il pettirosso. Lo vedi di giorno che si ferma a mangiare, a dormire, sta sereno in mezzo alla vegetazione, poi al tramonto riparte. È una strategia di sopravvivenza perché di notte c’è meno vento, la perturbazione cala, ci sono meno predatori. Di giorno abbiamo il pellegrino, il lodolaio, l’astore, splendidi esemplari che rubano veramente il cuore. Poi ci sono i migratori di giorno e di notte, in entrambe le fasce: le gru, gli aironi cenerini, gli aironi bianchi maggiori. Ovviamente quelli più monitorati e conosciuti sono i rapaci perché seguono determinate rotte, che nello Stretto sono governate dai venti. Un anno ho inseguito un’aquila reale in bicicletta lungo le strade di Messina, una meraviglia. Ovviamente abbiamo visto di tutto. Abbiamo ricoverato uccelli che hanno sbattuto contro le vetrine, contro le luci, altri caduti dal cielo recuperati, salvati e liberati. Abbiamo anche scoperto la migrazione delle farfalle. Nessuno lo sapeva. Una cosa spettacolare. Arrivano dall’Africa a fine aprile, con un picco tra il 10 e il 20 maggio, e vanno scemando fino ai primi giugno. Ecco perché dico che questa è una rotta migratoria importantissima.
Che tipo di conseguenze avrebbe il Ponte su questo splendido habitat?
Quello che abbiamo scoperto in questi anni, man mano che riuscivamo a osservare gli uccelli più che a inseguire i bracconieri, è un dato importantissimo. Gli esemplari che arrivano nello Stretto sono già miracolati perché hanno attraversato 2.700 km di Sahara e di Sahel, poi devono superare il mare: si tratta di due degli ambienti più ostili per eccellenza per gli uccelli terrestri in migrazione. Sopportano caldo, fame, sete, ma se non hanno più energie cadono in acqua e muoiono. In più hanno una fretta particolare perché la migrazione è tesa alla riproduzione e, per farlo, hanno bisogno di trovare il posto migliore. Se ritardano e, tra le altre cose, incontrano le tempeste, come capita quando da noi c’è lo scirocco, e non ce la fanno. Partono lo stesso perché lo Stretto di Messina è l’ultima tappa da superare, ma un ostacolo come il Ponte può essere letale. Sempre, però, che lo vedano. Non è, infatti, detto che riescano a evitare 75mila metri quadrati di spazio aereo occupato. Nessuno dei nuovi scienziati ha fatto i calcoli prevedendo cavi, tendini, torri, luci: praticamente tutto ciò che questi poveri uccelli devono vedere e soprattutto evitare, anche quando sono colpiti dal vento. Rispetto alla visibilità ricordo il record giornaliero che è stato battuto l’anno scorso dopo 24 anni: il 5 maggio del 2000, in un solo giorno, 9.729 rapaci uscivano dalle nuvole, facendo un volo cieco. Lascio a voi immaginare.

Il Ponte sullo Stretto sarebbe pericoloso e devastante solo per la fauna?
Assolutamente no. Prima di arrivare a rompere gli equilibri naturali, ci sono diversi altri aspetti da tenere in considerazione. Quando si realizza un’opera, si ha bisogno di determinate cose, tra le prime per esempio l’acqua. Io non sono un ingegnere, ma da 24 anni, cioè da quando nel 2002 ho cominciato a interessarmi del Ponte, ho sempre tenuto presente questo aspetto. I volumi di acqua di cui ci sarebbe bisogno per il singolo cantiere sono pari a 2.580 litri al minuto, 154.800 all’ora, 309.600.000 per 50 settimane. E ricordiamo che, siccome molti cantieri lavorerebbero in contemporanea. L’acqua da qualche parte la dovranno prendere. Non è, però, detto che l’acqua ci sia perché i problemi idrici della Sicilia, quindi anche di Messina, sono noti a tutti. Acqua che si dovrebbe prendere dalle falde, ma non automaticamente sarebbe rinnovata. In più, se la prendi in prossimità del mare, salinizzi la falda: un processo irreversibile, le cui conseguenze sono inimmaginabili.

L’acqua è fondamentale in alcune aree di enorme interesse naturalistico e paesaggistico, come il Lago di Ganzirri…
Esatto. Parliamo di un sito protetto dall’Unione Europea, in prossimità di Capo Peloro, proprio sullo Stretto di Messina. Qui ci sono dieci specie endemiche, tra molluschi, pesci e crostacei, che dipendono interamente dall’acqua. A parte che nello studio di incidenza ambientale è stata taciuta l’interferenza con la falda, già nel 2013, nel parere del ministero dell’Ambiente, era scritto chiaramente che c’è un’incidenza negativa irreversibile con la laguna di Capo Peloro. Una delle operazioni che entrerebbero in conflitto con la falda è la fondazione con jet grouting, il che significa iniezione di cemento, in profondità. Ci sarebbero, quindi, anche emissione di inquinanti. Chiesti i dovuti chiarimenti ad aprile 2024, la risposta è arrivata a settembre con un elaborato specifico, dal quale emerge che ci sono circa 300mila metri cubi di interferenza al lago di Ganzirri e 150mila al vicino Lago di Faro. Peccato che lo studio presentato riporti i dati della falda relativi a 72 anni fa.
In apertura Anna Giordano
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.