Non profit
il second hand diventa moda. etica e garantita
Ora gli abiti usati si studiano anche all'università
di Redazione
Le vedi aggirarsi con occhio famelico fra le bancarelle dell’usato, affondare le mani nelle ceste, individuare con rapidità felina il capo più grazioso fra le pile di abiti ammucchiati alla rinfusa e valutarne la qualità col cipiglio dell’intenditrice: sono le “rovistatrici”, le professioniste del second hand, «cacciatrici di esperienze e dotate di competenze, che non solo favoriscono gli “affari”, ma permettono loro di manipolare i significati simbolici attribuiti ai prodotti e di personalizzare i capi acquistati con grande creatività. In una parola, “consumatrici artigianali”».
Secondo Gabriele Arnesano, dottorando in Teoria e ricerca sociale all’università del Salento, fra i relatori dell’XI convegno internazionale Ethical fashion/Moda critica, organizzato a Milano il 7 e 8 maggio da Modacult – Centro per lo studio della moda e della produzione culturale dell’università Cattolica, l’acquisto di seconda mano è una pratica tipicamente femminile. «Perché più impegnativo: richiede tempo, occhio, senso pratico», spiega Carla Lunghi, coordinatrice della sessione La moda dell’usato e del biologico. «Anche se poi le ragioni della scelta sono tante e complementari: economiche, ideologiche, anticonformiste, legate al gusto o a una scelta di sobrietà. È un settore caleidoscopico che riflette molteplici anime: quella politica post contestazione; la vintage, col recupero di capi d’alta sartoria; l’ambientalista, col filone del riciclo. In genere, la dimensione estetica prevale sull’etica e il consumo critico, ma accade spesso che le due siano compresenti».
Anche l’usato, inutile dirlo, ha i suoi luoghi cult. «Tre le tipologie», spiega Lunghi. «Le boutique del vintage, dove trovare prodotti d’annata ma d’alta qualità, a prezzi tutt’altro che popolari»: ne è un esempio la milanese Cavalli e Nastri, che acquista e vende capi dalla fine dell’800 al 1970, completi sartoriali, cappotti, griffe degli anni 80, accessori e bigiotteria di marca. «Ci sono poi negozi come Il Baule o Lo Specchio di Alice, sempre a Milano, nati nel periodo della contestazione e che oggi propongono il total look anni 60/70. Esistono poi i mercatini rionali e i luoghi non profit gestiti da associazioni, come Mani Tese o la cooperativa Di Mano in Mano, e infine il circuito Mercatopoli, dove il second hand è a prezzi ridotti». Parallelo il circuito dell’usato per bambini, negozi dove lasciare capi in conto vendita per poi ritirare la somma pattuita o l’invenduto a fine stagione: qui niente vintage, ma tanta qualità. Qualche nome? Il Guardarobino di Milano, La Birba a Mantova, Ecobimbo a Firenze, Piccoli monelli a Vicenza, Lo Stregatto di Roma.
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