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Il sistema alimentare è rotto: nel mondo fino a 720 milioni di persone soffrono la fame

Secondo la fotografia scattata dal nuovo report “The State of Food Security and Nutrition in the World”, pubblicato dalla Fao, nel 2024, tra 638 e 720 milioni di persone – pari al 7,8-8,8% della popolazione mondiale – hanno sofferto la fame. Le regioni più colpite restano l’Africa (307 milioni di persone denutrite) e l’Asia (323 milioni), seguite dall’America Latina e Caraibi (34 milioni)

di Redazione

La fotografia scattata dal nuovo report The State of Food Security and Nutrition in the World” (Sofi) pubblicato dalla Fao presenta solo un leggero miglioramento nella riduzione della fame globale. Il sistema alimentare si può dire dunque “rotto” e sempre più disuguale. Nel 2024, tra 638 e 720 milioni di persone – pari al 7,8-8,8% della popolazione mondiale – hanno sofferto la fame. Le regioni più colpite restano l’Africa (307 milioni di persone denutrite) e l’Asia (323 milioni), seguite dall’America Latina e Caraibi (34 milioni).

Ad alimentare questi numeri concorrono fattori interconnessi: crisi climatiche, conflitti armati come quello a Gaza, impennata dei prezzi alimentari e persistente inflazione interna in molti Paesi. Di questo passo sarà quindi impossibile centrare l’obiettivo “fame zero” entro 2030, come definito dall’Agenda Onu, perché a quella data ancora oltre mezzo miliardo di persone vivranno in condizioni di insicurezza alimentare.

«Il patto morale e di civiltà tra paesi ricchi e poveri sta crollando. La fame globale segna un piccolo arretramento complessivo dall’8,5% all’8,2%, mentre peggiora la situazione in Asia occidentale e in Medio Oriente e soprattutto nel continente africano, il vero epicentro della crisi», spiega Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia. «Mentre i principali donatori del mondo, inclusi i paesi del G7, stanno spingendo per un taglio degli aiuti umanitari e di sviluppo del 28% entro il 2026 e solo il World Food Program vedrà tagliate le proprie risorse del 40% il prossimo anno, circa 2,6 miliardi di persone non possono permettersi una dieta sana. Non sono solo numeri, significa impedire che un terzo dell’umanità possa avere presente e futuro dignitosi».

L’inflazione dei prezzi dei beni alimentari è arrivata al 30% nei paesi poveri, colpiti da conflitti e crisi climatica. «Quella che abbiamo di fronte non è una crisi causata dalla scarsità di risorse ma dalla loro sempre più disuguale distribuzione alimentata da conflitti sempre più fuori controllo, dalla crisi climatica, da politiche sbagliate e da fenomeni speculativi», continua Petrelli. «Solo nel 2024 la ricchezza dei miliardari globali è cresciuta di 2 mila miliardi di dollari, mentre la povertà nel mondo si è ridotta di pochissimo. Dal 2015, l’1% più ricco ha accumulato 33,9 trilioni di dollari – abbastanza per porre fine alla povertà globale 22 volte. Eppure la fame nei Paesi poveri persiste, non per caso, ma perché è funzionale. Mentre i campi si allagano e i raccolti vengono distrutti dalla siccità o dai conflitti in corso, gli aiuti vengono tagliati e poche grandi aziende del settore agroalimentare traggono profitto dal disastro.  Basti pensare all’inflazione dei prezzi dei beni alimentari cresciuta in media del 13,6% a livello globale nel 2023 e del 30% nelle economie più fragili dei paesi a basso reddito. Ad esempio in Africa dove già una persona su 5 soffre di malnutrizione cronica e dove i più colpiti sono donne e bambini».

Secondo la Fao, nel 2024 una dieta sana in Italia costa in media 4,14 dollari al giorno (a parità di potere di acquisto) ma 4 milioni di italiani (6,7%) non riescono a permetterselo. In Europa e Nord America il costo è di 4,02 dollari, ma la percentuale di chi non può permetterselo è del 5,3% in Europa e del 4,3% in Nord America. In parallelo, i dati Istat analizzati da ActionAid nel rapporto Fragili Equilibri mostrano che nel 2023 ben il 15,6% delle famiglie italiane ha speso per l’alimentazione meno della media nazionale, una condizione considerata a rischio di povertà alimentare, con disuguaglianze profonde in tutto il territorio nazionale. 

«L’obiettivo Fame Zero a livello globale è un traguardo lontano per molteplici fattori. Sebbene con intensità diversa rispetto ai contesti più colpiti, l’insicurezza alimentare è presente anche in Italia e, senza interventi strutturali – come accesso universale alle mense scolastiche, redditi dignitosi e contesti in cui il cibo di qualità sia accessibile a tutti – il rischio di mancare il traguardo è concreto. Così, la promessa contenuta nell’Agenda 2030 rischia di restare vuota, tanto a livello globale quanto in Italia. È il momento di riconoscere che la povertà alimentare è una questione politica che richiede di intervenire nelle cause strutturali del problema», dichiara Roberto Sensi, responsabile programma povertà alimentare di ActionAid Italia.  

AP Photo/Farah Abdi Warsameh

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