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Il sogno del neonatoaccende il boom asiatico

adozioni internazionali Luci e ombre della rivoluzione targata Vietnam e Cambogia

di Redazione

Il mondo delle adozioni sta vivendo una vera e propria “rivoluzione geografica”. La Commissione Adozioni Internazionali lo ha espresso chiaramente attraverso i primi dati statistici del 2008: riguardo alla provenienza dei minori si assiste a una «perdita di egemonia dei Paesi dell’Est Europa» a favore del continente asiatico. Un “boom Asia” in cui, peraltro, gli unici due paesi leader sono (in attesa dell’effettiva partenza della Cina) soltanto Vietnam e Cambogia, rispettivamente al quarto e ottavo posto della top ten dei paesi d’origine. Nel 2001 non era ancora giunto nessun bambino dalla Cambogia e appena 36 dal Vietnam. Nel 2007 i piccoli cambogiani adottati sono stati 163 e ben 263 i vietnamiti. Un numero, quest’ultimo, destinato probabilmente a essere superato nel 2008, visto che a giugno gli ingressi dal Vietnam avevano già toccato quota 140.

Il neonato dei sogni
Le ragioni? In primo luogo il fattore età: gli asiatici soddisfano il mito del bambino in fasce sognato da tante coppie italiane. Quasi il 40% degli adottati nel 2008 aveva meno di un anno, contro una media generale di 5,4 anni. Rispetto ad est europei, africani e sudamericani, l’età media degli adottati vietnamiti infatti è di 1,2 anni e di 2,9 per i cambogiani.
Dati che fanno riflettere, se si pensa al contesto: Cambogia e Vietnam sono paesi profondamente segnati dalle guerre, contraddistinti da regimi totalitari e da alti indici di povertà e mortalità. Senza l’ombrello dello stato sociale, la protezione del minore, in realtà segnate dalla miseria e dalla disgregazione familiare, è ancora utopia. E l’adozione da parte dei paesi occidentali si colora, inevitabilmente, di chiaroscuri.
«Bisogna conoscere bene il Vietnam per capire le ragioni di questo fenomeno», avverte Stefano Bernardi, presidente di Enzo B. «Parliamo di uno Stato con un apparato di stampo comunista, con una burocrazia forte e pervasiva che ha scelto, a livello politico, di applicare l’adozione internazionale in ogni situazione in cui non ci sono alternative. L’adozione interna è poco sviluppata e la natalità ha ancora indici altissimi, quasi 7 figli per donna. È molto diffuso il parto in anonimato: se entro due mesi dalla segnalazione di abbandono nessun parente si fa carico del bambino, il suo nominativo entra nel circuito dell’adozione internazionale».
Proprio sul Vietnam il Ciai, altro ente che lavora nel paese, quattro mesi fa ha prodotto un memoriale di pesante accusa circa il meccanismo di reperimento dei minori nelle varie province locali, esprimendo la preoccupazione che lo stato di abbandono non sia del tutto trasparente e possa alimentare traffici. «Non posso giurare che nelle pieghe della burocrazia e delle economie parallele di questi paesi non si consumino abusi o forme di traffico», sostiene Graziella Teti responsabile adozione dell’associazione milanese. «Noi non ne abbiamo mai intercettati e cerchiamo di aiutare gli istituti a migliorare sempre più le condizioni di protezione e accoglienza dei bambini.Il nostro paese ha sottoscritto un accordo bilaterale sull’adozione con il governo di Hanoi: o ci fidiamo di questa intesa e delle procedure vietnamite o ci ritiriamo. Non possiamo mettere sotto tutela uno stato sovrano».

Obiettivo trasparenza
Il grande numero di adozioni realizzato da alcuni enti italiani in questi paesi «è anche legato al modello organizzativo prescelto», riflette Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa. L’ente piemontese è in testa alla classifica del 2008, con 42 minori già adottati dalla Cambogia. «Dopo anni di cooperazione abbiamo deciso di fondare Cifa Cambogia», spiega, «una ong indipendente con personale locale preparato e operativo in diverse province. La piaga di questo paese è la mancanza di registrazione anagrafica: attraverso la nostra rete, possiamo chiarire la situazione dei minori che vanno in adozione internazionale. Quando non ci sono certezze, rinunciamo agli abbinamenti e cerchiamo altre soluzioni di accoglienza».
E se questa è la strada maestra adottata da gran parte degli enti italiani, abbastanza singolare è il caso del NAAA, ente leader in Vietnam (è presente in 13 province ed è il più attivo di tutti per numero di adottati: 138 nel 2007 e già 55 nei primi sei mesi del 2008). «Adottiamo solo bambini malati» premette la presidente, Ingrid Maccanti. Le patologie (polidattilia, problemi cardiaci e ortopedici di varia gravità, epatiti) non appaiono però molto diverse dallo “standard” di tutti i bambini adottati nel mondo che, proprio per la loro condizione, presentano spesso problemi sanitari. E non per questo vengono definiti “malati”, ma tant’è. Il boom dell’Asia, con tutta la complessità che si porta dietro, è già una realtà.

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