Non profit

Il Terzo settore sempre più stampella dei Comuni

Paradossi e contraddizioni nelle relazioni tra enti locali e terzo settore nel V rapporto nazionale Auser

di Redazione

Organici comunali ridimensionati a vantaggio degli affidamenti esterni; aumento dei carichi di lavoro per gli addetti; forte coinvolgimento delle associazioni nell’erogazione dei servizi sociali. I risultati che emergono dalla Quinta rilevazione nazionale sul rapporto fra Enti Locali e Terzo Settore promossa dall’Auser e presentata oggi a Roma mostrano un welfare locale sempre meno pubblico, sempre meno “comunale”. Scende al 42% la percentuale di servizi sociali gestiti direttamente dai comuni, una quota che si riduce al 24,2% nel Nord-Ovest e si eleva fino al 54% al Sud.

Cresce invece il ricorso alle convenzioni con il volontariato. Il quadro normativo sollecita ormai da alcuni anni i Comuni alla dismissione dei servizi in gestione diretta a favore dell’affidamento a soggetti terzi. Il forte ricorso al Terzo settore è però ancora poco regolato ed è motivato soprattutto dalla necessità di abbattere i costi.

Il V Rapporto Auser, scatta una chiara fotografia sulle modalità di gestione dei servizi socio-assistenziali da parte dei comuni e la realtà che emerge non è delle migliori, con il personale ridotto al lumicino – diminuito del 6,6% negli ultimi 3 anni – e con una carico di richieste che si riversa sempre più sulle spalle del terzo settore. Mentre le fasce deboli della popolazioni sono in grande difficoltà.

I dati del dossier Auser confermano, inoltre, che al centro delle relazioni tra enti locali e Terzo settore c’è un enorme paradosso e molte contraddizioni. A fronte del rilevante apporto che associazioni e imprese sociali forniscono alla gestione dei servizi sociali, le amministrazioni pubbliche locali sono ancora inadempienti nella creazione di regole davvero efficienti e trasparenti per consentire al Terzo settore di erogare servizi di qualità alla cittadinanza, e di giocare un ruolo importanti nella programmazione sociale e in termini di sussidiarietà orizzontale.

«Il panorama è allarmante visto il continuo arretramento del sistema dei servizi pubblici nel nostro Paese» sottolinea Michele Mangano presidente nazionale Auser. «Fra azzeramenti, riduzioni e tagli, i servizi sociali ai cittadini più fragili, rischiano di essere  ridotti  pesantemente o addirittura cancellati. E sulle spalle del Terzo Settore comincia a pesare un carico troppo grande, di vera e propria sostituzione nell’erogazione dei servizi sociali e non più di integrazione. Il volontariato non può essere imbrigliato, burocratizzato. Rivolgiamo un appello al Governo  che dopo il rigore dia spazio all’equità, una parola che sembra sparita dal vocabolario dei provvedimenti governativi. Il Welfare nel nostro Paese non è solo definito dalla questione previdenziale e dal mercato del lavoro, è molto più articolato. Suggeriamo che dai 13 miliardi recuperati fino ad ora dalla lotta all’evasione fiscale, si ritagli una quota per rifinanziare il fondo sociale e il fondo per la non autosufficienza».

Gli interventi sociali realizzati da Auser soddisfano una domanda sociale in forte crescita, in genere non coperta dalle istituzioni pubbliche locali preposte; si tratta di una domanda variegata, al cui interno si intrecciano le necessità collegate alla povertà (soprattutto nelle grandi città del Nord, dove emerge la fragilità economica e relazionale delle donne vedove, sole e molto anziane), bisogni socio-sanitari collegati alle condizioni di non autosufficienza e di parziale non autosufficienza degli anziani, bisogni di compagnia, socialità e di “benessere”, le necessità di spostamento nel territorio.

In particolare, la richiesta di servizi di mobilità e collegati ai trasporti è ormai un fenomeno in forte crescita, collegato non solo alla necessità, da parte degli anziani, di raggiungere uffici pubblici e presidi ospedalieri e ambulatoriali, ma anche al desiderio, espresso da una quota rilevante di utenti ultrasettantacinquenni soli, di spostarsi nel territorio per svolgere attività sociali e in modo particolare relazionali, e sbrigare in modo autonomo pratiche d’ufficio. In definitiva, le attività convenzionate svolte da Auser rispondono a un “nuova” domanda sociale espressa dagli anziani, che si indirizza verso l’uso “attivo” del territorio; domanda che può essere soddisfatta sempre meno attraverso il ricorso alla istituzionalizzazione, al contrario, richiede il potenziamento del sistema dei servizi reali e la creazione di nuove opportunità (integrazione sociale, promozione del benessere, invecchiamento) nelle comunità locali.

Auser è partner di una rete estesa di soggetti sociali. Essi svolgono, anche sollecitati dagli enti territoriali, importanti funzioni pubbliche nelle attività di contrasto alla povertà, di promozione della salute e della qualità della vita degli anziani.

Le organizzazioni di volontariato intervengono non solo nella gestione di servizi e interventi sociali “per conto” degli enti locali, ma anche e soprattutto per promuovere e realizzare sul territorio spazi di auto-organizzazione (che in diversi casi si trasformano in veri e propri momenti di auto-governo), innescando politiche sociali più mirate all’evoluzione socio-demografica e ai nuovi bisogni delle popolazione anziane.

Tra i punti di criticità,  la forte sollecitazione che gli enti territoriali esercitano nei confronti delle associazioni per la gestione di “pezzi” di servizi sociali. Nel 2011 e nei primi mesi del 2012, le convenzioni sottoscritte da Comuni e Auser si caratterizzano per la presenza di un numero elevato di servizi e interventi “integrativi” richiesti al volontariato. A tale complessità dell’intervento richiesto spesso non corrisponde però un’adeguata regolazione nonché l’attivazione di un processo di programmazione sociale condivisa.

Nel periodo ottobre 2011/ marzo 2012 è stato rilevato come le procedure di assunzioni attivate dai Comuni più grandi (con popolazione superiore ai 10mila abitanti) per l’erogazione di servizi socio-assistenziali, abbiano privilegiato soprattutto il reclutamento di dipendenti con contratti a termine o “flessibili”: tempo determinato, collaborazioni coordinate e continuative, contratti di somministrazione di manodopera e altre forme “atipiche”. A fronte di 216 procedure di assunzione esaminate (riguardanti il settore dei Servizi sociali) il rapporto evidenzia come in 44 casi, i contratti a termine posti in essere dalle amministrazioni comunali abbiano riguardato figure professionali basilari o “indispensabili” ai fini dell’erogazione delle prestazioni sociali, quali: assistente sociale (22), psicologo (9), educatore (13).

Il personale in servizio presso i comuni italiani, nell’ultimo triennio, denuncia il Rapporto Auser sulla base dei dati forniti nel “Censimento generale del personale in servizio presso gli Enti Locali” redatto annualmente dal ministero dell’Interno, diminuisce mediamente del 6,6%.

L’esame delle procedure di affidamento dei servizi sociali attivate nei comuni oggetto di indagine evidenzia come l’affidamento diretto venga utilizzato soprattutto al Sud e nelle Isole, dove la scelta di affidare l’appalto senza alcun confronto tra concorrenti diversi riguarda il 34/35% delle procedure di affidamento poste in essere, meno al Centro (31%) nelle aree del Nord – Ovest (21% e del Nord – Est (26%). Si stima che, su un totale di 93 euro pro capite impegnati nel 2010 dai Comuni con più di 5mila abitanti per l’acquisto di prestazioni sociali da soggetti del privato sociale, circa l’11% delle risorse vengano impiegate attraverso affidamenti diretti a cooperative sociali e ad associazioni, in assenza di gare ad evidenza pubblica, selezioni o procedure negoziate (con la conseguente mancata applicazione dei principi di concorrenza ed equità introdotti dalla riforma dell’assistenza – legge 328/2000).

Occorre poi osservare che la breve durata degli incarichi costituisce elemento di forte incertezza nelle prestazioni di efficienza e di efficacia della spesa sociale. Inoltre, 9 gare (cioè il 10% del campione) sono state indette sulla base del criterio di aggiudicazione al prezzo più basso determinato mediante massimo ribasso sull’elenco delle offerte. Questa formula è volta a premiare esclusivamente i ribassi proposti dalle imprese sociali rispetto alla base d’asta o prezzo base progettato dal Comune, ignorando, in definitiva, le componenti tecniche e qualitative delle offerte.

Tale prassi è adottata ancora dai Comuni nonostante che la legge 328/2000 e le norme regionali di settore sollecitino, ormai da anni, le amministrazioni pubbliche ad abbandonarla. Gli enti locali, denuncia il Rapporto, non hanno applicato gli indirizzi della riforma dell’assistenza per la diffusione delle forme di aggiudicazione cosiddette negoziate, volte cioè a sviluppare – attraverso le formule dell’ “appalto concorso” e della “co-progettazione” – le capacità progettuali dei concorrenti del Terzo Settore.

I rapporti tra enti territoriali e imprese sociali, disciplinati dai bandi e dai capitolati di appalto, spesso si limitano all’affidamento della gestione di servizi sociali (anche nell’ambito della programmazione sociale realizzato a livello di Piano di zona), in assenza di procedure codificate che promuovano la partecipazione di tali strutture private alla fase di programmazione territoriale. Solo 5 le gare pubbliche, infatti, con l’aggiudicazione di servizi sociali sulla base dell'”appalto concorso” (che lascia libertà alle imprese sociali di proporre progetti di ampio respiro per la gestione di una determinata prestazione sociale); inoltre, solo 6 Comuni/enti gestori hanno promosso selezioni pubbliche finalizzata all’individuazione di soggetti del terzo settore disponibili alla co-progettazione per interventi innovativi e sperimentali nel settore dei servizi sociali (art. 5 della Legge 328/2000).

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