Non profit
Il Welfare sarà attivo se sussidiario e solidale
Dibattito L'intervento del presidente delle Acli sul Libro verde di Sacconi
di Redazione

Disegnare un nuovo modello per il welfare italiano: un progetto – o sogno, in molti casi – che molti politici hanno coltivato, spinti ora dalla valutazione dell’insufficienza del modello attuale a coprire le necessità dei cittadini, ora dalla difficoltà di far quadrare i conti dello Stato a fronte di un Paese senza più equilibrio generazionale. In questo contesto appare senza dubbio importante lo sforzo compiuto dal ministro Maurizio Sacconi di proporre un Libro verde dal titolo La vita buona nella società attiva, per alimentare una discussione pubblica a cui possono prendere parte tutte le componenti della società.
Ugualmente importante è il riferimento alla “vita attiva” – che richiama i pressanti documenti dell’Unione europea – purché correttamente intesa in una prospettiva di opportunità e come possibilità di protagonismo sociale di ogni persona, indipendentemente dalla propria condizione fisica, psichica e sociale.
L’idea di un welfare delle “opportunità” che si rivolge alla persona nella sua integralità, come recita il Libro verde, rinvia al più ampio orizzonte di un welfare promotore di sviluppo umano che da tempo appartiene al patrimonio culturale e alle pratiche sociali delle organizzazioni del terzo settore, tra cui le Acli, centrato sulla persona, la famiglia e la comunità.
D’altro canto la “vita buona” chiede condizioni, opportunità per realizzarsi nelle opzioni e nei progetti di vita che appartengono in prima istanza all’orizzonte antropologico della persona, ma che richiedono con uguale rilevanza ruoli, tutele e funzioni assicurate e agite dalle reti sociali formali e informali, della più vasta comunità.
Le Acli, tuttavia, per la loro storia di soggetti organizzati della società civile non possono non richiamare anche il ruolo sussidiario e solidale dei diversi livelli istituzionali. Sono quelle che Paul Ricoeur riferendosi alle tre dimensioni dell’etica personale – cura di sé, sollecitudine per l’altro, cura delle istituzioni – chiama appunto istituzioni giuste. Il “ciascuno” a cui si rivolge il nuovo welfare, non più assistenzialistico e indifferenziato, è appunto la persona in carne e ossa, titolare di diritti sociali concretamente esigibili.
Anche sul principio di sussidiarietà – che giustamente viene sottolineato come un grande valore – permangono elementi contraddittori. Innanzitutto non viene coniugato con la solidarietà (insieme – e solo insieme – sono i pilastri della Dottrina sociale della Chiesa) ed inoltre appare più uno strumento di gestione dei servizi che di pianificazione sociale. Si rimane ancorati ad un sistema di welfare mix, di cui vi è pure bisogno, ma non si scorge la necessità di passare al welfare community, ad un sistema di responsabilizzazione sociale di tutti i soggetti – dalle istituzioni al terzo settore, dalle imprese fino alle famiglie – chiamati non solo a costruire coesione sociale, ma a disegnare un modello coerente di sviluppo per la propria comunità.
Dimenticarli è un boomerang per il futuro del Paese; investire su di loro, sulla loro integrazione ed il loro dinamismo può essere, ancor prima d’ogni altra considerazione, una buona strategia per crescere.
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