L’ho pensato proprio sul più bello, mentre schiacciavo il tasto “on” del microfono e iniziavo a parlare: «Buongiorno a tutti, grazie di avermi invitato?». Ero al convegno di Aiccon sulla social entrepreneurship. Prima di me, lectio magistralis di uno dei suoi guru, Alex Nicholls, e poi altri interventi, come quello di The Hub Milano (apre fra qualche giorno, auguri!) che ampliavano il solco nella direzione di un modello decisamente meno istituzionale e “laico” di impresa sociale: slegato da forme giuridiche, settori di attività, distribuzione di utili, ecc. Mentre io, presentando il caso italiano, partivo proprio da questi aspetti per poi gettare il cuore oltre la siepe. Però prima di divertirsi a fare ingegneria giuridico – organizzativa, è meglio concentrarsi sul paradigma entro il quale prendono forma nuovi rapporti sociali ed economici. E venerdì 4 dicembre a Forlì si confrontavano due approcci diversi (forse opposti). Quello tradizionale, all’italiana, ha tentato di fare innovazione sociale attraverso un percorso di institution building, creando (non dal nulla, ma dalla costola del movimento cooperativo e del terzo settore) una nuova forma d’impresa.
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