Non profit

In associazione il futuro non fa paura

I giovani che aderiscono a una non profit sono più ottimisti. Lo dimostra un'indagine Arciragazzi/Cevas

di Redazione

L’esperienza associazionistica come incubatore di speranza. È questo il risultato di un’indagine commissionata dal presidente dall’Arciragazzi, Lino D’Andrea a Cevas, realizzata via social media e presentata e discussa a Roma l’11 novembre. Alla rilevazione hanno risposto 2.070 giovani. Alla fine i questionari validi sono stati 1.410, compilati da ragazzi provenienti da tutte le regioni italiane; l’83,5% sono studenti o studenti-lavoratori e l’età media è di 21 anni.
Un giovane su quattro (25%) del campione ha dichiarato di far parte di associazioni ricreative o culturali, il 18% di organizzazioni di volontariato e il 14% è iscritto agli scout. Sul lato opposto, due giovani su dieci (18,4%) hanno detto di non ha mai fatto parte di alcuna associazione, né di gruppi parrocchiali, scout o comitati studenteschi. E proprio in questa fetta del campione che si registrano alcune differenze importanti: infatti tra coloro che non hanno avuto alcuna esperienza di associazionismo il 59,4% risulta avere un basso livello di «speranza verso il futuro e nella possibilità di cambiamento». Una situazione che si inverte tra coloro che hanno sperimentato oltre tre appartenenze al mondo associativo in cui quella percentuale si riduce al 35%. Questo rapporto si mantiene anche tenendo sotto controllo l’istruzione dei giovani e dei loro genitori, che sappiamo avere una grande incidenza su queste dimensioni che riguardano le prospettive dei figli. In sintesi dà più speranza per il proprio futuro l’aver fatto parte di un’esperienza associativa che non avere un genitore ben posizionato socialmente.
Spiega la curatrice della ricerca, Liliana Leone: «La partecipazione si traduce in investimento materiale ed emotivo su obiettivi che implicano anche una trasformazione della realtà. Non solo: la partecipazione produce una riduzione degli atteggiamenti depressivi. Quest’ultima dimensione è particolarmente rilevante in una fase storica come quella che stiamo vivendo, dove è fortissima la percezione di essere vittime di un blocco sociale e decisionale».
Altro tema interessante che la ricerca affronta è quello dell’autoefficacia. L’Oms – Organizzazione mondiale della Sanità, considera l’autoefficacia una competenza di vita (life skill) di centrale importanza nei programmi di prevenzione delle devianze, dell’abuso di sostanze stupefacenti legali e illegali, del tabacco e per la promozione della salute. Esiste un legame tra partecipazione in contesti associativi e autoefficacia: al crescere del numero delle associazioni di cui il giovane ha fatto parte, cresce in modo statisticamente significativo la media riportata nel test sull’autoefficacia. Spiega sempre Leone: «I processi partecipativi rappresentano delle libertà sostanziali e possiedono un forte valore educativo in quanto contribuiscono allo sviluppo di un sistema di competenze per la vita, di norme sociali e di credenze riguardanti i diritti delle persone, le questioni etiche e le priorità da perseguire che incidono negli anni sugli atteggiamenti e sui concreti comportamenti dei giovani».

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