In vacanza con
In cammino con don Massimo, per imparare l’arte di vivere insieme
Un’estate zaino in spalla. Don Massimo De Franceschi, parroco a Padova, guida la "Compagnia dei pellegrini" in cammini che diventano occasione per ritrovare se stessi e gli altri. Tra silenzi, incontri e fatica, si riscopre la bellezza dell'essenziale. E al ritorno, lo sguardo è nuovo

Un piede davanti all’altro, passo dopo passo, accade qualcosa di semplice e straordinario: l’anima si sintonizza con il corpo e lo sguardo si apre a un mondo che, troppo spesso, la frenesia quotidiana ci fa dimenticare. I sensi si risvegliano e tornano a restituire emozioni autentiche, che sembravano smarrite. L’atto del camminare smette di essere solo un movimento e diventa gesto necessario e irrinunciabile, anche quando la fatica si fa sentire. Camminare diventa metafora della vita stessa. Un andare che ci mette in ascolto del creato e ci riconnette al mondo.
«Fare una vacanza in cammino con la fede vuol dire riscoprire spazi interiori in cui interrogarsi sulla propria vita. Chiedersi: “Cosa sto facendo?”, “Cosa sto pensando?”, “Come sto amando davvero l’altro?”», racconta don Massimo De Franceschi, parroco di San Francesco d’Assisi a Padova. È lui l’anima e la guida spirituale della Compagnia dei Pellegrini, un gruppo nato quasi per caso che oggi conta una ventina di persone di età e origini diverse.
La nascita della Compagnia dei Pellegrini
Tutto è cominciato nel 1987, durante l’Anno santo mariano. Don Massimo, allora giovane cappellano a Vigodarzere, sempre in provincia di Padova, portò un gruppo di ragazzi a piedi lungo l’argine del Brenta fino al santuario di Monteortone. Quella prima esperienza lasciò il segno. Con il tempo, e con i cambi di parrocchia del sacerdote, altri giovani si sono uniti. È nata così la Compagnia dei pellegrini: non un’associazione, ma una comunità in cammino, unita dal desiderio di vivere la fede con i piedi ben piantati sulla strada e lo sguardo rivolto al mondo. Partono nei periodi di vacanza estivi e invernali, zaino in spalla, lungo cammini più o meno noti, in Italia e all’estero.

Quest’estate, dal 14 al 19 luglio, la Compagnia dei pellegrini ha percorso circa 100 chilometri lungo il Cammino dei Cappuccini, da Fabriano a Camerino. Ogni giornata si apre con una preghiera comunitaria. Il pranzo è semplice, condiviso lungo il percorso. Dopo una breve sosta si riprende il cammino verso la tappa serale, che è spesso un convento, un ostello o un piccolo paese dove gli abitanti aprono spontaneamente le porte delle loro case ai pellegrini. Una volta arrivati ciascuno si mette all’opera: chi prepara i letti, chi si occupa della spesa e chi si mette ai fornelli. La giornata si conclude con un momento di riflessione e la preghiera, per custodire ciò che si è vissuto e prepararsi al giorno successivo.
Il cammino diventa un percorso di scoperta interiore, dove ogni domanda trova risposte in continua evoluzione
Il cammino come scuola di vita
«Mentre camminiamo», racconta don Massimo, «siamo come una matassa che si snoda, chilometro dopo chilometro. Ognuno, nel silenzio del proprio passo, ritrova se stesso. Poi ci si ricompone in piccoli gruppi, che si formano spontaneamente per sostenersi. C’è chi ascolta, chi alleggerisce la fatica con una battuta, chi ristabilisce equilibrio. Così il cammino diventa, anche, arte di vivere insieme».
Prosegue don Massimo: «Camminare è uno spazio d’esperienza in cui i pensieri si fanno compagni di viaggio. Si siedono accanto a te e ti chiedono un nome, una ragione, un senso. Le risposte, però, non arrivano mai in modo definitivo. Non sono verità scritte una volta per tutte, ma si rivelano a poco a poco, passo dopo passo, tappa dopo tappa. È così che il cammino diventa un percorso di scoperta interiore, dove ogni domanda trova risposte in continua evoluzione. Proprio come nella vita: ognuno di noi cambia, pur restando fedele a se stesso. Cambia con l’età, con le esperienze, con i luoghi che attraversa. E allora sì, il nostro cammino di pellegrini assomiglia profondamente alla vita stessa».

Camminare insieme
Anche camminare in gruppo è metafora della vita. Lo spiega bene don Massimo: «Camminare insieme dà forza e coraggio, è diverso dal farlo da soli, che è un’esperienza più faticosa. Il gruppo, come una famiglia, ti sostiene. Condividere le fatiche ti libera dalle maschere e ti riconcilia, un po’ alla volta, con le tue fragilità, fisiche e interiori. Camminare insieme è, anche, un esercizio di ascolto e di umiltà. Ti insegna che non sei il centro del mondo, che nella diversità dei passi: chi rallenta, chi accelera, chi ha fame, chi ha bisogno di fermarsi, c’è la consapevolezza che non si cammina per arrivare primi, ma per arrivare tutti. E chi ha più forza, deve usarla per sostenere gli altri, non per distanziarsi. La vera comunione non nasce dall’uniformità, ma dal rispetto delle differenze. Camminare con gli altri ti insegna a comunicare, a non imporre sempre il tuo ritmo o le tue esigenze. È così che il gruppo diventa scuola di vita e di relazioni autentiche».
La vera comunione non nasce dall’uniformità, ma dal rispetto delle differenze. Camminare con gli altri ti insegna a comunicare, a non imporre il tuo ritmo o le tue esigenze. È così che il gruppo diventa scuola di vita e di relazioni autentiche
L’incontro dell’altro che cambia lo sguardo
Un altro tema centrale del cammino è l’incontro con l’altro, spesso sconosciuto, che incrocia i pellegrini lungo le tappe. C’è chi si ferma a chiedere se serve qualcosa, chi offre un caffè, un incoraggiamento, un sorriso. Quest’anno, racconta don Massimo. «A San Severino siamo stati accolti dalle suore clarisse con una cura commovente: letti preparati con lenzuola che profumavano di fresco, dolci fatti in casa per la colazione, bevande fresche e frutta appena raccolta all’arrivo. Queste attenzioni semplici ma profonde ci ricordano quanto l’incontro sia un dono». Non è stato l’unico gesto di ospitalità: «Abbiamo dormito anche in una vecchia abbazia», prosegue don Massimo, «gestita con amore da un anziano signore che l’ha trasformata in un piccolo ostello. In questo modo, lui stesso tiene in vita un borgo che altrimenti sarebbe rimasto vuoto e silenzioso. Anche questo è un modo di camminare insieme».

Aggiunge don Massimo: «La strada insegna una grande lezione di vita: l’importante non è fissare lo sguardo sul traguardo, ma avere il coraggio di continuare a camminare. Nella vita ci saranno sempre momenti di fatica: scarpe che fanno male, vesciche, la tentazione di mollare tutto o cercare scorciatoie. Ma l’importante è continuare a guardare avanti».
Per i pellegrini, in fondo, la vera meta è il ritorno a casa con uno sguardo nuovo: quello che sa riconoscere nella fatica un’occasione di crescita, nella costanza del cammino la forza della vita quotidiana, e negli altri una compagnia essenziale. Perché senza gli altri, si finisce col perdersi.
Il cammino ti insegna che non sei il centro del mondo, che nella diversità dei passi c’è la consapevolezza che non si cammina per arrivare primi ma per arrivare tutti
«Tornare a lavorare stamattina è stato un po’ faticoso, ma sto ancora vivendo avvolta in una nuvola di gratitudine», scrive a don Massimo la pellegrina Claudia. «Sono grata a ciascuno di voi per ogni chiacchiera, ogni riflessione, ogni risata e ogni sguardo di intesa. Per ogni silenzio, mentre si camminava insieme. O per avermi ascoltata. Per i momenti di preghiera e condivisione, che fanno la differenza al nostro andare. Ero stata indecisa se partire, temevo il caldo, temevo me stessa con i miei limiti, non solo fisici. Avrei fatto un grande errore a restare a casa. Sono stata bene anche a fare fatica. Non vedo l’ora di ripartire».
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Nella foto di apertura la Compagnia dei pellegrini in cammino (tutte le foto sono di don Massimo De Franceschi)
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