Rapporti
In Italia 4 milioni di famiglie sono a rischio povertà alimentare
Le situazioni più critiche si registrano nel Mezzogiorno: la Campania conta 877mila persone in difficoltà, la Puglia 721mila, la Calabria 503mila, la Sicilia 540mila. Questi alcuni dati contenuti nell'indagine "Fragili equilibri" pubblicata dall'organizzazione ActionAid. Nel 2023 i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 9,8%. Il cibo diventa la prima voce di spesa su cui si taglia. Una scelta obbligata che genera esclusione, non solo tra i più poveri, ma anche tra lavoratori e famiglie con redditi medi
di Redazione

Nel 2023, più di 5,9 milioni di persone in Italia sono in una condizione di deprivazione alimentare materiale o sociale, con un aumento di circa 680mila individui rispetto all’anno precedente. A crescere è soprattutto la fascia “invisibile”: chi non rientra nelle soglie Istat di povertà, ma non riesce comunque a mangiare in modo adeguato.
La nuova indagine di ActionAid, contenuta nel rapporto Fragili equilibri, accende i riflettori anche su una realtà ampia, trasversale e in gran parte sommersa: oltre 4 milioni di famiglie risultano oggi a rischio povertà alimentare. In un contesto di rincari generalizzati – nel 2023 i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 9,8% – il cibo diventa la prima voce di spesa su cui si taglia. Una scelta obbligata che genera esclusione, non solo tra i più poveri, ma anche tra lavoratori e famiglie con redditi medi.
«La povertà alimentare è strettamente connessa alla fragilità economica, ma non si esaurisce in essa. Pensiamo ad esempio che solo il 40% di chi sperimenta deprivazione alimentare è ufficialmente classificato come povero secondo le soglie Istat, a conferma di una crescente vulnerabilità che colpisce anche fasce della popolazione escluse dalle misure pubbliche di sostegno», dichiara Roberto Sensi, responsabile programma povertà alimentare per ActionAid Italia.
Non è solo questione di “quantità”. Povertà alimentare non significa solo non avere abbastanza cibo; significa rinunciare alla qualità, alla varietà, ai pasti regolari ma anche perdere il valore sociale e culturale del mangiare insieme. Una condizione che sfugge ai tradizionali indicatori statistici e che ActionAid ha analizzato attraverso la lettura della scala Fies, che misura l’insicurezza alimentare attraverso le esperienze delle persone, dell’indice che combina aspetti materiali e relazionali (Dams) e dell’indicatore di povertà alimentare relativa, basato sui consumi.
Un’Italia divisa. La geografia della povertà alimentare racconta un’Italia ancora divisa. Le situazioni più critiche si registrano nel Mezzogiorno: la Campania conta 877mila persone in difficoltà, la Puglia 721mila, la Calabria 503mila, la Sicilia 540mila. Tuttavia, la povertà alimentare non risparmia il Nord: in Lombardia sono oltre 714mila, in Veneto oltre 396mila, nel Lazio 745mila. In termini percentuali, la Calabria ha l’incidenza più alta (31,7%), seguita da Puglia (21,3%) e Campania (18,4%). La Lombardia registra l’8,3%, il Lazio il 15,2%. Rispetto al 2019, si rilevano progressi in alcune regioni del Sud, come Basilicata (-14,4 punti) e Sicilia (-13,6), ma emergono segnali allarmanti in territori come la Calabria, che registra +14,8 punti, e la Sardegna con +4,9. Nel complesso, il 2023 segna un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti: la deprivazione alimentare è in aumento in tutte le macroaree del Paese, seppure con intensità differenti.
Le persone tra i 35 e i 44 anni sono le più esposte, una fascia in cui si concentrano responsabilità economiche e familiari, spesso senza una sufficiente stabilità. Anche la condizione lavorativa è determinante: i tassi più alti si registrano tra disoccupati, lavoratori precari e persone escluse dal mercato del lavoro. La condizione abitativa è un altro fattore chiave: chi vive in affitto a prezzi di mercato è molto più esposto rispetto a chi possiede casa o vive in alloggi agevolati. Anche la composizione del nucleo familiare influisce: le famiglie numerose, monogenitoriali o unipersonali sono più colpite, perché un solo reddito deve coprire spese elevate o perché le entrate non sono adeguate rispetto al costo della vita. Un ulteriore elemento di vulnerabilità è il background migratorio: tra le persone di origine extra-europea, il tasso di deprivazione alimentare è del 23,4%, contro il 18,2% tra chi ha origini europee e il 10,5% tra i nati in Italia. In particolare, le donne migranti che vivono nel Sud Italia risultano tra le più colpite dal momento che le disuguaglianze legate all’origine si sommano a quelle economiche, abitative e occupazionali, ampliando il divario nell’accesso a un’alimentazione dignitosa.
La povertà alimentare in Italia non si misura solo in base al reddito. Per capirne la portata, è necessario guardare anche ai comportamenti di consumo delle famiglie, che sono sempre più costrette a risparmiare sul cibo, una delle poche voci flessibili del bilancio domestico. Secondo dati Istat, nel 2023 il 15,6% delle famiglie italiane – oltre 4 milioni di nuclei – risultava a rischio povertà alimentare, ovvero con una spesa per il cibo inferiore alla media nazionale. Un dato che conferma la crescita del fenomeno, soprattutto nel Sud. In testa la Sardegna: il 27,2% delle famiglie è sotto la soglia. Seguono Molise (24,6%), Calabria (21,9%) e Puglia (20,6%). Al Nord, i valori sono più contenuti, ma anche qui si registrano inaspettate criticità: in Trentino-Alto Adige (21%) e in Lombardia (17,7%), le famiglie vulnerabili superano la media nazionale, segnalando un’estensione del problema anche in aree tradizionalmente più solide.
Dalla risposta assistenziale a una strategia integrata. In assenza di una strategia nazionale strutturata, la risposta alla povertà alimentare in Italia resta frammentata e centrata sull’assistenza. Lo dimostra l’impostazione del Programma Nazionale Inclusione 2021–2027, che si limita a prevedere la distribuzione gratuita di beni di prima necessità, senza una definizione né una riflessione articolata sul problema. ActionAid richiama l’attenzione su un approccio che resta emergenziale, con politiche frammentate e strumenti di monitoraggio non sufficientemente aderenti alla realtà. È necessario un cambio di passo: servono metriche più efficaci per rilevare il fenomeno; il riconoscimento della mensa scolastica come servizio pubblico essenziale; un’effettiva integrazione tra politiche sociali e alimentari e un rafforzamento del ruolo degli enti locali nella definizione degli interventi.
«Non basta aumentare gli aiuti. Serve un sistema pubblico fondato su giustizia sociale, universalismo e partecipazione. Riconoscere il diritto a un’alimentazione adeguata significa uscire dalla logica dell’emergenza e affrontare le cause strutturali del problema. Solo così sarà possibile progettare politiche più eque, inclusive e capaci di restituire dignità e autonomia alimentare a tutte e tutti«, conclude Sensi.
Foto Alessandro Cimma/Lapresse
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