Welfare

Indulto, dietro le sbarre è tutta un’altra vita

Viaggio negli istituti d’Italia sei mesi dopo la clemenza: meno suicidi, cibo commestibile, maggior igiene e la possibilità concreta di accedere alle misure alternative

di Redazione

Dietro le mura delle 208 carceri italiane tira aria nuova. Nessuna rivoluzione, per carità, i problemi restano tanti. L?indulto, però, non è passato invano. Anzi. Dai volontari ai direttori, dagli assistenti sociali ai medici penitenziari, il coro è unanime: «Dentro si è ricominciato a vivere». E non è solo un modo di dire.

Nell?anno della clemenza (l?indulto è diventato legge il primo agosto 2006) i suicidi in carcere sono stati 42, il 28% in meno rispetto ai 58 dell?anno precedente. Ammette Rino Pastore, dal 2000 a capo del servizio per tossicodipendenti degli istituti napoletani di Poggioreale e Secondigliano: «Fino a luglio lavoravamo in ambienti squallidi, oggi invece il crollo delle presenze consente di operare in condizioni migliori», anche se «il livello degli interventi rimane comunque inadeguato». Che cosa significhi nel concreto passare da 60.170 presenza a 39.037 (a fronte di una capienza legale di 40.087 unità) lo spiega Vittorio Antonini, portavoce dell?associazione Papillon nata su iniziativa di alcuni detenuti del carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso, dove oggi scontano la pena 960 persone dopo che i circa 800 indultati hanno ottenuto la libertà. «Trascorrevano mesi prima che un dentista visitasse un detenuto, oggi invece si entra in cura in un paio di settimane».

Nel carcere di Trani (180 detenuti dopo aver toccato punte di 400 presenze) lavora invece don Raffaele Sarno. Anche da qui buone notizie: «Non si dorme più con la faccia a mezzo metro dal cesso alla turca e si può fare la doccia tutti i giorni». Non è solo una questione sanitaria. A Trani e in molti altri istituti pugliesi è migliorata perfino la dieta dei detenuti. Il segnale è che dalle mense i carrelli tornano vuoti. «Se mangiano vuol dire che il menu è dignitoso», spiega Sarno.

La battaglia per adeguarsi alle condizioni di vita imposte dal regolamento penitenziario del 2000 non è ancora vinta («ci vorranno anni», si lamenta Sarno), ma il Titanic per lo meno è uscito dalla tempesta. I detenuti hanno riacquistato perfino un volto. Un carico di lavoro più umano «ci consente di conoscere i detenuti di persona», sostiene da Milano Gloria Manzelli, direttore di San Vittore. La questione è cruciale. Più si mantiene alta l?attenzione per ogni singolo caso, più crescono le possibilità che i percorsi di reinserimento vadano a buon fine. Anna Muschitiello guida il Casg, il coordinamento degli oltre 1.200 assistenti sociali di giustizia. Una figura chiave nell?attività degli Uepe (gli uffici per l?esecuzione penale esterna) e nella redazione della cosiddetta sintesi, il documento da sottoporre ai magistrati di sorveglianza necessario per accedere ai benefici di legge. Secondo le sue proiezioni l?indulto ha dimezzato l?area penale esterna (nel primo semestre 2006 le misure alternative hanno interessato 37.175 persone). «Il solo ufficio di Milano», sostiene la Muschitiello, «in questi ultimi mesi è passato da gestire 2mila casi a meno di 900 persone affidate ai servizi sociali». Un salto che ha permesso agli assistenti sociali di concentrare l?attenzione dentro le celle: «Finalmente siamo in grado di assicurare l?osservazione e il trattamento così come prescrive la legge». «Anche se», nota il veronese Maurizio Mazzi, responsabile per il Nord d?Italia della Cnvg, la Conferenza nazionale volontariato giustizia, «si poteva cogliere l?occasione anche per allargare la finestra degli orari d?entrata per i volontari». La loro presenza, in Veneto come in molte altre regioni, è infatti ammessa solo fino alle 15,30. «Così facendo», osserva ancora Mazzi, «nell?arco di una giornata i momenti morti rimangono lunghissimi, in condizioni di ritrovata sicurezza che permetterebbe molte più ore di attività».

Sei mesi di indulto e una ritrovata vivibilità non costituiscono un assicurazione per il futuro. La tendenza alla carcerazione facile, che in appena 15 anni ha visto la presenza negli istituti dai 31.053 del giugno 1991 al record di 61.264 del giugno 2006, non è stata affatto scalfita dall?indulto. Per invertire la rotta, c?è ancora molto da lavorare.

Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze, ha le idee chiare: «Bisogna intervenire sulla legge sull?immigrazione e su quella sulla droga, oltre che sulla recidiva della Cirielli. A Sollicciano, dopo il boom delle scarcerazioni di fine agosto, quando da mille siamo passati a 550 detenuti, abbiamo già oltrepassato il livello di guardia delle 700 presenze». E fra i nuovi ingressi, nota l?ex sottosegretario alla Giustizia, «gli indultati costituiscono una piccola minoranza».

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