Sanità
Senza gli infermieri stranieri, la sanità italiana crolla
Negli ultimi 15 anni, le iscrizioni ai test di infermieristica si sono dimezzate, e migliaia di infermieri hanno scelto di accettare contratti all'estero. Con 6,6 infermieri per mille abitanti, l’Italia si colloca sotto la media Ue di 8,4. «Negli ultimi 5 anni, c’è stato un aumento di 30.633 professionisti della sanità di origine straniera», dice Foad Aodi, presidente dell’associazione di medici stranieri in Italia. «Un esercito di cui la società italiana, in balia del declino demografico e all’invecchiamento della popolazione, ha bisogno»

Sono competenti, anzi no. Sono una risorsa, anzi no. Le organizzazioni di categoria e sindacati spesso parlano degli infermieri stranieri come un problema per un combinato disposto maledettamente complesso che si può sintetizzare con due parole: approccio emergenziale. Eppure senza di loro interi reparti si fermerebbero per mancanza di organico.
Il tema è controverso nonché dirimente perché riguarda la cura degli esseri umani e delle categorie più vulnerabili. Su un fattore concordano tutti, però: sono figure professionali indispensabili. Con 6,6 infermieri per mille abitanti, l’Italia si colloca sotto la media Ue di 8,4, mentre il fabbisogno inevaso è stimato tra i 63mila e i 220mila infermieri necessari per raggiungere i valori di Francia, Germania e Spagna. Pur auspicando di frenare l’emorragia di infermieri che stanno abbandonando il Sistema sanitario nazionale, il 40% del personale in attività raggiungerà l’età della pensione entro i prossimi 15 anni. Secondo l’Amsi, l’associazione di medici stranieri in Italia, fra medici e operatori sanitari si arriva a oltre 100mila professionisti.
Il calo di iscrizioni
Il presidente Foad Aodi non si stanca di ripetere che senza di loro, il sistema sanitario crollerebbe. «Alcune migliaia sono arrivati grazie al decreto Cura Italia: un dato significativo di cui non si può non tenere conto. Diciamo no a dichiarazioni che possano alimentare divisioni e pregiudizi, che purtroppo hanno contribuito all’aumento delle discriminazioni nel 2024», spiega a VITA. «Negli ultimi 5 anni, c’è stato un aumento di 30.633 professionisti della sanità di origine straniera e solo il 10% sono iscritti ad organizzazioni sindacali. Un esercito bianco di cui la società italiana, in balia del declino demografico e all’invecchiamento della popolazione, ha bisogno. Anche perché continuano a calare le iscrizioni alle università e i laureati, se possono vanno in altri Paesi europei dove sono pagati meglio e maggiormente valorizzati». Ne parla anche la Relazione sul Rendiconto Generale dello Stato 2024 diffusa il 26 giugno 2025 dalla Corte dei Conti, sottolineando il deficit critico anche dei medici: «Alle carenze di personale nelle strutture pubbliche, si sono aggiunti segnali preoccupanti: il mancato ricambio in alcune specializzazioni, le criticità crescenti sul fronte del personale infermieristico anche a causa dell’elevato numero di pensionamenti attesi; le difficoltà di rendere operative le strutture previste per la riforma dell’assistenza territoriale, dove rimane centrale per la funzionalità delle stesse la promozione dell’integrazione e la valorizzazione del ruolo dei medici di medicina generale (Mmg), pediatri di libera scelta (Pls) e specialisti ambulatoriali nei nuovi modelli organizzativi regionali».
Non basta un cerotto
La Fondazione Ismu ha pubblicato un lungo report che si intitola: Non mettiamoci un cerotto. Il reclutamento di infermieri all’estero nel quadro di una nuova governance della professione infermieristica. «Sicuramente esiste un problema di formazione per coloro che vengono da sistemi sanitari più arretrati che hanno bisogno di una formazione integrativa come esiste il nodo della conoscenza approssimativa della lingua italiana, ma se andiamo a vedere le previsioni del fabbisogno sono figure assolutamente indispensabili», afferma Laura Zanfrini, docente di Sociologia delle migrazioni Università Cattolica del Sacro Cuore e curatrice del rapporto. «La sanità italiana non può però affidarsi esclusivamente ai professionisti stranieri per tappare le falle: manca una regia istituzionale strutturale che sappia valorizzare il personale infermieristico che svolge il compito delicatissimo ed etico della cura. Vengono inseriti tramite norme transitorie e devono spesso anche affrontare discriminazioni, razzismo strisciante e un eccessivo carico di lavoro». Diversi ospedali hanno infatti creato progetti per prendersi cura di chi si prende cura degli altri. Al Policlinico Gemelli è stato creato ad esempio Ohana’ che in lingua hawaiana significa famiglia: un percorso per favorire l’inclusione del personale straniero e anche dei pazienti provenienti da altre culture.
“Parla la mia lingua?”
Rosa Melgarejo, infermiera di origini peruviane, ha fondato l’associazione Infermieri del mondo dopo aver assistito a un episodio di discriminazione. «La figlia italiana di una mia collega boliviana, al suo primo giorno di lavoro si è sentita chiedere da una malata: “Capisce la mia lingua?” e non voleva più lavorare. Sua madre ha cercato di spiegarle che per tutta la vita le sono capitate cose simili. Da lì ho capito che dovevo costituire un gruppo in cui potessimo confrontarci, condividere le esperienze di lavoro, al di là delle nazionalità e della cultura perché ora c’è un flusso continuo di infermieri che arrivano da altri Paesi e non hanno punti di riferimento, sono soli, talvolta necessitano una formazione integrativa e un supporto psicologico, non solo linguistico». All’ Ospedale Maggiore Policlinico si occupa della formazione degli infermieri neoassunti. «Vedo tanti giovani, soprattutto donne, di seconda generazione che entrano negli ospedali pubblici, ma le disparità economiche e le discriminazioni li portano ad espatriare come fanno gli autoctoni. Inoltre molti arrivano con diverse aspettative e poi si trovano a lavorare spesso nei reparti geriatrici, nelle Rsa. E, considerata anche la mancanza motivazionale diffusa, se possono vanno via anche loro». Secondo il rapporto Ismu l’Italia si trova e si troverà a fare i conti con quella che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ancor prima della pandemia, aveva definito la global care crisis perché tra meno di vent’anni, oltre un abitante su tre in Italia avrà più di 65 anni di età.
Reclutamento all’estero
Nel 2024 il Governo ha annunciato il lancio di un programma di reclutamento di 10mila infermieri indiani con riconoscimento del titolo di studio che ha suscitato molte critiche e levate di scudi, anche corporative. Il presidente del sindacato nazionale degli Infermieri Nursing Up, Antonio De Palma ha dichiarato: «Anziché investire nei nostri professionisti, si cerca di tamponare la situazione con un accordo bilaterale per favorire l’ingresso di migliaia di infermieri dall’India, mentre ci sono migliaia di infermieri italiani sparsi per il mondo, che non aspettano altro che rientrare, se trattati dignitosamente. Così vengono ignorati i veri bisogni del sistema, e le reali cause della crisi della professione infermieristica in Italia. Come se, per curare una malattia, invece di utilizzare un farmaco in grado di sradicarla alla radice, si decidesse di trattare solo il sintomo. Stiamo vivendo un’epoca in cui la professione infermieristica è sempre più a rischio. Negli ultimi 15 anni, le iscrizioni ai test di infermieristica si sono dimezzate, e migliaia di infermieri hanno scelto di accettare, obtorto collo, contratti all’estero, lasciando il nostro Paese per avere stipendi decisamente più dignitosi che qui non possono certo avere, questo dovrebbe suonare come l’ennesimo campanello di allarme. Non è colpa di una mancanza di talenti o vocazioni, ma delle condizioni precarie in cui siamo costretti a lavorare, della scarsa valorizzazione professionale e dei salari inadeguati. È per questo che i giovani scelgono altre carriere».
L’apporto dei professionisti stranieri ha garantito la tenuta di interi reparti durante la pandemia e continua a farlo quotidianamente. Tuttavia, le organizzazioni di categoria sostengono che il reclutamento all’estero non può essere la soluzione definitiva. La Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) è sempre stata cauta sul flusso migratorio sempre più numeroso di infermieri stranieri, nonostante i nuovi percorsi con il ministero e gli accordi con le università all’estero delle singole Regioni, perché lavorano in base alle deroghe stabilite durante l’emergenza pandemica, molti arrivano senza ottenere il riconoscimento dei titoli né formale iscrizione all’Albo in Italia. Criticità che vengono analizzate anche dal report di Ismu, anche in merito al caotico e non sempre trasparente operato delle agenzie di reclutamento.
Laura Zanfrini ha analizzato il percorso a ostacoli per gli infermieri con background migratorio che non termina con il raggiungimento della possibilità di esercitare legalmente la professione in Italia. Nel report di Ismu si legge: «I setting di lavoro dei professionisti della sanità, oltre a caratterizzarsi per le criticità, risultano non sempre “inclusivi” per chi proviene da contesti linguistici e culturali diversi. Per di più, le infermiere e gli infermieri d’origine straniera interpellati, a dispetto della lunga esperienza accumulata in Italia, hanno ripetutamente denunciato il mancato rispetto delle pari opportunità nella gestione di turni e mansioni, nella possibilità di fruire di opportunità formative, nella distribuzione delle responsabilità e soprattutto nei percorsi di sviluppo e avanzamento professionale. Questo complesso di criticità produce fenomeni di disillusione e demotivazione, rischiando così di compromettere sia la capacità di trattenerli sia, nel medio periodo, quella di attrarre nuovo personale, dirottandolo verso destinazioni ritenute più vantaggiose». Il presidente di Amsi, Foad Aodi ricorda che ci sono circa 11mila tra infermieri e fisioterapisti di origine straniera che non riescono ancora a esercitare. Bloccati da lungaggini burocratiche e dal mancato riconoscimento dei titoli di studio e sottolinea la necessità di una svolta. «Serve superare il precariato e le barriere nei riconoscimenti. È fondamentale intensificare la collaborazione con la Fnopi. L’obiettivo è garantire diritti, formazione e stabilità a tutti gli infermieri, italiani e stranieri. Si deve programmare l’ingresso di altri professionisti dall’estero solo in base al reale fabbisogno».
Conclude Rosa Melgarejo: «Mancano percorsi di inserimento, una regia istituzionale che sani l’approccio emergenziale e il deficit di formazione professionale per alcuni Paesi e le agenzie interinali rappresentano una sorta di giungla. Inoltre non bisogna dimenticare che gli infermieri stranieri finiscono soprattutto nelle strutture private e nelle Rsa, dove oltre ad esserci tanti operatrici e operatori sanitarie di origini straniere, si trovano tanti pazienti con background migratorio perché anche i lavoratori stranieri invecchiano (oltre ad andare in pensione). Perciò è giusto pensare che siamo sempre più indispensabili, figure da valorizzare maggiormente, da inserire con una formazione professionale e competenze linguistiche adeguate ma non si deve creare una guerra fra poveri».
Credit foto Unsplash
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