Non profit

Investimenti etici, un boom con un però

Pubblicati i dati di Eurosif: il quadro italiano

di Redazione

Con la crisi, la fiducia dei risparmiatori nel mondo della finanza è scesa ai livelli più bassi di sempre. Nonostante ciò (o forse proprio per questo?), un tipo molto particolare di investimento finanziario è cresciuto a ritmo spettacolare: si tratta della finanza etica o socialmente responsabile (Sri), che tra fine 2007 e fine 2009 ha messo a segno un incremento dell’87%, toccando i 5mila miliardi di euro di masse gestite. I dati vengono da Eurosif, il forum dei forum europei della finanza socialmente responsabile, che distingue gli investimenti Sri in due grandi classi: il “core” Sri, che utilizza i criteri più rigorosi e lo fa in modo più articolato, ad esempio combinando vari criteri di esclusione (no armi, nucleare, tabacco, alcol, gioco d’azzardo, pornografia) con criteri positivi, e il “broad” Sri, che presenta solo qualche elemento o utilizza solo alcune pratiche Sri (ad esempio l’azionariato attivo).
Anche in Italia la finanza etica ha guadagnato terreno e sta facendo proseliti con un approccio all’investimento responsabile rigoroso e ad ampio spettro. In senso assoluto, infatti, le risorse gestite con criteri Sri sono salite del 28% (circa un terzo dell’incremento registrato in Europa), passando dai 243 miliardi di euro del 2007 ai 312 miliardi di fine 2009. Ma il dato forse più rilevante è che, sebbene la categoria “broad” Sri si confermi largamente maggioritaria (vale il 96% del totale delle risorse gestite, in crescita da 240 a quasi 300 miliardi di euro), gli investimenti “core” Sri (4% del totale) sono addirittura quasi quadruplicati rispetto a due anni fa, passando da 3,4 a oltre 13 miliardi di euro di asset.
«Sono dati che vanno interpretati e presi con prudenza», avverte Davide Dal Maso, segretario del Forum per la finanza sostenibile, membro per l’Italia di Eurosif. «La situazione complessiva mostra in effetti un trend positivo», spiega, «il che è ovviamente una buona cosa: la crescita del “core” Sri, infatti, non si può discutere. Quanto però a quella del “broad” Sri, corrisponde a un certo alleggerimento della rilevanza dei temi Sri nelle logiche d’investimento».
L’altro elemento da incrociare riguarda la ripartizione del mercato italiano tra investitori istituzionali e piccoli risparmiatori (retail), dove i primi (soprattutto fondi pensione e assicurazioni) esprimono la quasi totalità della domanda di investimenti Sri (99%), mentre il retail è relegato in un angolo, con solo poco più di 2 miliardi di euro. «Da noi la quota del retail è calata, anche perché c’è qualche fondo in meno, ma ci sono segnali di dinamismo sul mercato istituzionale», commenta Dal Maso. «E poi c’è il caso di Assicurazioni Generali, che su tutti i propri asset proprietari (circa 300 miliardi di euro a fine 2009, ndr) si è data politiche d’investimento Sri».