Non profit

Io, cooperante clandestino

di Redazione

Ian Tabbaa, attivista siriano-canadese, è appena tornato a Beirut da Homs: è tra gli attivisti che sono riusciti a rifornire la città dei beni primari durante l’assedio.
Per mesi senza aiuto di organizzazioni mediche e umanitarie, come si è provveduto alle esigenze della popolazione di Homs?
Attraverso le donazioni dei siriani all’estero che arrivano in diversi conti in Libano. Si ritirano i contanti e si portano dentro. Così la gente può affrontare almeno le spese minime in assenza di servizi bancari.
E i feriti?
C’è chi può essere curato in città e chi deve essere evacuato al più presto. Una volta mi è capitato il caso di una ragazza di 16 anni colpita da un cecchino. È stata portata in diversi ospedali pubblici ma le sono state negate le cure. Quando finalmente è stata accettata in una clinica, il padre ha avuto una soffiata da un dipendente interno che gli detto: «Porta via tua figlia, stanno per farla fuori». Ora è in Libano.
Cosa dovrebbero fare le ong internazionali?
Tocca prepararsi a un numero maggiore di profughi. Anche se l’esercito siriano ha messo mine lungo il confine, ci sono sempre migliaia di persone pronte a fuggire. Verso il Libano, la Turchia e la Giordania.
Di cosa ha bisogno Homs oggi?
Di dottori, chirurghi, medicine di base per i feriti ma anche di farmaci per i malati cronici che si sono trovati improvvisamente senza cure.
Attentati a quartieri cristiani, alta conflittualità tra sunniti e alawiti. In Siria è in corso una guerra civile settaria?
L’Occidente non ha ancora capito che la Siria potrebbe essere un modello di pluralismo religioso di successo. Ma deve intervenire subito, garantendo la sua presenza. Siamo abituati da secoli a convivere assieme: cristiani, sunniti, alawiti, curdi, ismailiti, drusi. I conflitti vengono creati dalle disuguaglianze e dai massacri attribuiti agli alawiti (minoranza sciita al governo ndr).

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