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Iran, Amnesty: «Discriminati i curdi»

Secondo l’organizzazione per i diritti umani Teheran non rispetterebbe la minoranza, specialmente le donne

di Redazione

In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha dichiarato che il governo iraniano sta venendo meno al suo dovere di prevenire la discriminazione. Secondo l’organizzazione, la repressione nei confronti dei curdi iraniani, soprattutto dei difensori dei diritti umani, sta aumentando.

Il rapporto di Amnesty International cita esempi di discriminazione religiosa e culturale, così come nel campo dell’abitazione, dell’educazione e dell’impiego, contro i circa 12 milioni di curdi che vivono in Iran, il 15 per cento della popolazione del paese. A venir presi soprattutto di mira sono i difensori dei diritti umani e i giornalisti.

«La Costituzione iraniana stabilisce l’uguaglianza di tutti gli iraniani di fronte alla legge. Ma questo non vale per i curdi. Il governo di Teheran non ha preso misure adeguate per porre fine alla discriminazione e al ciclo di violenza che colpisce le donne, né tanto meno per punire i responsabili» si legge nel rapporto.

Sebbene costituiscano la spina dorsale dell’economia delle aree curde, le donne e le bambine sono sottoposte a rigidi codici sociali, usati per negare i loro diritti umani. A causa di questi codici, può risultare molto difficile per le autorità indagare sulle ineguaglianze nel campo dell’educazione, sui matrimoni precoci e forzati, sulla violenza domestica e sulle tragiche conseguenze di alcune di queste violazioni, come i ‘delitti d’onore’ e i suicidi.

Il rapporto di Amnesty International descrive alcuni recenti casi di violazioni dei diritti umani contro gli appartenenti alla minoranza curda:

– nel febbraio di quest’anno, Farzad Kamangar, Ali Heydariyan e Farad Vakili sono stati condannati a morte per il reato di ‘moharebeh’ (azione ostile a Dio), al termine di un processo farsa. La condanna per ‘moharebeh’ viene inflitta a coloro che sono accusati di aver preso le armi contro lo Stato e di avere rapporti col Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, la formazione armata che compie attacchi in Turchia. Heydariyan e Vakili sono stati anche condannati a 10 anni di carcere, a quanto pare per aver falsificato documenti, da scontare prima dell’esecuzione. Kamangar, un insegnante di 32 anni, ha rifiutato di chiedere clemenza affermando che farlo avrebbe significato ammettere la propria colpevolezza. La sua condanna a morte è stata confermata l’11 luglio dalla Corte suprema e rischia di essere eseguita da un momento all’altro;

– sempre quest’anno, a maggio, Mohammad Sadiq Kabudvand è stato condannato a 11 anni di carcere dalla 15a Sezione del Tribunale rivoluzionario di Teheran: 10 anni per ‘aver agito contro la sicurezza dello Stato mediante l’istituzione dell’Organizzazione per i diritti umani del Kurdistan (Hrok)’ e un anno per ‘propaganda contro il sistema’. Il verdetto è stato emesso al termine di un processo a porte chiuse. Amnesty International considera Kabudvand prigioniero di coscienza, condannato solo per aver esercitato, come giornalista e presidente dell’Hrok, il suo diritto alla libertà d’espressione e di associazione;

– Hana Abdi, studentessa di Psicologia, è stata arrestata il 4 novembre 2007 a casa del nonno, a Sanandaj. È stata detenuta in isolamento per tre mesi. Nel giugno di quest’anno la 2a Sezione del Tribunale rivoluzionario di Sanandaj l’ha condannata a cinque anni di carcere, da scontare al confino nella piccola città di Germi, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, per l’accusa di «essersi associata e aver colluso per compiere un reato contro la sicurezza nazionale». Abdi fa parte della Campagna per l’eguaglianza, un’iniziativa per i diritti delle donne iraniane che chiede la fine della discriminazione legale contro le donne in Iran. Amnesty International la considera prigioniera d’opinione, condannata solo per aver esercitato pacificamente il suo diritto alla libertà d’espressione e di associazione.

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