Provate a chiedere a un tassista iraniano cosa affligge maggiormente la Repubblica Islamica oggi e sarete sorpresi: il nucleare? No. Una possibile guerra con Israele? Men che meno. La politica? Non particolarmente. È l’inflazione il vero problema, che trascende la dissidenza, le classi sociali, le aree urbane e rurali. E non è un caso che parliamo di tassisti, visto che in una megalopoli come Teheran è proprio il non-luogo della macchina ad essere il luogo privilegiato per sfogarsi su argomenti ormai tabù per il governo iraniano che sembra dire: parlate di tutto ? movimento verde compreso ? ma non della crisi economica, che costringe sempre più persone a Teheran a staccare i freezer vuoti per risparmiare l’energia elettrica. La frutta ? un must di tutte le case iraniane ? è divenuta un bene di lusso, quasi quanto l’oro. Il prezzo della carne: praticamente proibitivo (è aumentato più del 60% da dicembre).
Così, mentre in Occidente si racconta che la Guida Suprema Ali Khamenei è uscita vincitrice dalle elezioni parlamentari dello scorso 4 maggio, ci si dimentica di raccontare che l’affluenza alle urne è stata bassissima in un Paese letteralmente piegato dalle sanzioni economiche e dall’isolamento internazionale: una disaffezione elettorale dovuta alle gravi difficoltà economiche. Nessun vincitore e nessun vinto, quindi, ma un riassetto degli equilibri: nuove negoziazioni interne che non cambiano sostanzialmente nulla. Ciò che sta cambiando profondamente il Paese è la strategia di sopravvivenza economica in questi tempi difficili: se non si possono importare gomme dalla Germania, per esempio, l’automotive iraniano punta sulla produzione locale. E, con ogni probabilità, sarà proprio la ri-localizzazione dell’economia il motore del prossimo grande cambiamento politico in Iran.
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