Non profit
Iran, il verde e il nero
Una società complessa e in fermento raccontata "dall'interno"
di Redazione

Il verde del movimento di opposizione al regime. Che però non mira a un sovvertimento dell’attuale sistema politico. Il nero delle folle che si recano a pregare e gridano «Huseyn mio amato» battendosi il petto. Due colori simbolo di un Paese che non si piega alle semplificazioni. E cerca una nuova identità Per avere un’idea del popolo iraniano e di ciò che sta vivendo in questi ultimi mesi, bisogna evitare l’errore che si è soliti fare rappresentando e pensando le società dei Paesi in via di sviluppo come un blocco omogeneo con tendenze precise e definite che si scontrano con un’élite più o meno dittatoriale al governo. Questo non è l’Iran. Piuttosto pensiamo a una società moderna sì, ma a macchia di leopardo, il che vuol dire che ad aree urbane moderne, a classi sociali laiche e istruite, a fasce economiche a medio, alto e altissimo reddito, corrispondono aree rurali depresse, dove prevale ancora un’economia arcaica, miseria morale e materiale negli slums delle periferie metropolitane, redditi bassissimi, malnutrizione, analfabetismo, e, ciò che in Occidente è ormai un semplice ricordo del Novecento, una classe operaia con una discreta coscienza di classe.
E dunque dove si inserisce, in questo tessuto sociale a macchie di leopardo, il rahesabz, il movimento verde?
Intanto bisogna fare una distinzione: il movimento verde non è né un movimento rivoluzionario né, tantomeno, aspira a cambiare il sistema politico iraniano fondato sul “governo del giurista”, secondo il quale potere religioso e politico sono la stessa cosa. I suoi promotori infatti, da Mir Hossein Mussavi a Mehdi Karroubinon, hanno mai messo in discussione gli ideali rivoluzionari khomeinisti; si tratta, piuttosto, di un movimento spontaneo per i diritti civili che, come dice la ex deputata al parlamento e riformista Jamileh Kadivar, «mira a diffondere la consapevolezza dei diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione iraniana stessa ma mai rispettati dal gruppo al governo». L’obiettivo è riportare alla luce la Costituzione esistente senza operare drastici cambiamenti ma migliorando, in senso democratico, ciò che esiste già.
Ma le cose non sono così semplici: il movimento per i diritti civili ha, in questi mesi, raccolto al suo interno frange estremiste, agitatori di ogni tipo, e persino i nemici storici del governo iraniano, i mujaheddin al Khalq, che da trent’anni militano contro l’establishment soprattutto dall’Occidente e che sono stati autori di alcuni atti di terrorismo contro la nazione. Oltre a questi, anche alcuni iraniani delle bolle hanno aderito al movimento, non tanto per difendere la costituzione iraniana, ma per un’idea di libertà “moderna”, simile a quella che Galli della Loggia definiva, riferendosi alla crisi dei valori in Occidente e dell’idea di libertà che vi era diffusa, «sinonimo di consumismo, di carnevale o di free-shop».
Così, in un unico apparente movimento pacifico e nazionalista sono confluite anche forze opposte tra loro, comprese alcune frange estremiste dal carattere violento, il che ha reso il rahesabz, che avrebbe potuto trasformarsi in una battaglia nazionale per la democrazia, in un movimento sospetto ad una parte della popolazione iraniana, quella più conservatrice e tradizionalista. Dopo i disordini avvenuti nel giorno dell’ashura, per esempio, una folla vestita di nero è scesa in piazza per ri-affermare il valore spirituale della ricorrenza sciita del martirio dell’Imam Huseyn contro il movimento verde che avrebbe usato la ricorrenza per creare disordini e dissacrare la figura tanto amata dell’Imam.
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