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Iraq: Zeynep, un ex rapita racconta

Marco Bardazzi dell'Ansa raccoglie la testimonianza di Zeynep Tugrul, giornalista di 28 anni rimasta prigioniera vicino a Mossul, per 4 giorni, prima di venir liberata l'11/9

di Redazione

La prima cosa che Zeynep Tugrul ha perso quando e’ stata presa come ostaggio in Iraq, subito dopo la liberta’, e’ stata la propria femminilita’ all’occidentale. La maglietta e i pantaloni che la giovane turca indossava al momento del sequestro erano inaccettabili per i rapitori, che l’hanno rivestita con una lunga tunica e le hanno imposto il velo: ”Guarda adesso come sei bella!”, le dicevano. Zeynep, una giornalista di 28 anni, e’ rimasta prigioniera nel nord dell’Iraq, vicino a Mossul, per soli quattro giorni, prima di venir liberata l’11 settembre scorso. Ma si e’ trattato di un incubo vissuto insieme a un reporter canadese, fatto di minacce, percosse e umiliazioni varie e sfociato anche in propositi suicidi. Ci sono voluti giorni prima che la giovane trovasse la forza di raccontare cio’ che puo’ accadere alle rare donne che, come Simona Pari e Simona Torretta, finiscono nelle mani delle varie fazioni della guerriglia islamica in Iraq. In quattro giorni, la Tugrul e il canadese Scott Taylor sono stati passati da un gruppo all’altro, in apparenza incontrando livelli di violenza crescente nei rapitori, fino all’insperata liberazione quando i sequestratori si sono convinti che erano giornalisti e non spie nemiche. ”Sono persone che pensano di vivere ai tempi delle crociate, dicono di combattere per la loro religione prima che per l’Iraq e ritengono che la loro religione sia sotto attacco”, ha raccontato Zeynep, una musulmana, in una conversazione con il New York Times. Seduta al tavolino di un caffe’ ad Ankara, la giovane donna e’ apparsa ancora sconvolta al ricordo di come i rapitori, uno dopo l’altro, compresi i ragazzini che facevano parte dei vari gruppi di cui e’ stata prigioniera, le facessero tutti con le dita, sorridendo, il segno di un taglio alla gola, come a pronosticare la fine che l’aspettava. Anche il leader del primo gruppo di sequestratori, che si faceva chiamare ‘l’emiro’, nel tentare di rassicurarla aveva ottenuto su di lei l’effetto contrario. ”Cerca di capire – le ha detto con la massima tranquillita’, secondo il racconto di Zeynep – per quale motivo dobbiamo essere certi su chi voi siate. Ci sono un sacco di spie qui e noi dobbiamo tagliar loro le teste”. Quando lo stesso ‘emiro’ ha puntato un Kalashninov alla testa di Taylor, minacciando di ucciderlo, Zeynep ha gridato di lasciarlo stare: ”Vi prego, quest’uomo ha un figlio!”, ha urlato. Il capo l’ha guardata e l’ha presa da una parte: ”Ti parlo – le ha detto – da musulmano a musulmana. Quando piangi mi si spezza il cuore, ma se alzi la voce, io mi arrabbio con te”. Lo stesso ‘emiro’ aveva promesso ai due prigionieri la liberazione gia’ all’indomani del sequestro, avvenuto mentre la Tugrul e Taylor si aggiravano nella cittadina di Tal Afar, nel nord dell’Iraq. Ma durante la notte il capo e’ stato ucciso in un attacco americano e i due ostaggi hanno cominciato a venir trasferiti da una banda all’altra. ”Mi sono resa conto – ha raccontato la donna – che intorno a Mossul tutti quanti fanno parte di una resistenza: non sono terroristi, ma non sono neppure semplici civili. Usano anche i ragazzini, che stanno di guardia e parlano di tagliare teste insieme agli adulti”. Nelle mani di altri sequestratori, stavolta personaggi che parlavano arabo e non erano iracheni, Zeynep e’ stata ripetutamente picchiata da uomini che le hanno legato una fascia intorno agli occhi in modo cosi’ stretto da farle temere di restare cieca. Le urlavano di confessare di essere una spia. ”Parlando con Scott – ha raccontato la giovane donna – ci dicevamo: ‘Uccidiamoci a vicenda’. Scott mi replicava: ‘Non lasciare che mi uccidano bendato, e devi dire a mio figlio che non ho pianto e che sono stato forte’. Io gli ho chiesto che lui fosse di fronte a me prima che mi uccidessero, perche’ non volevo che l’ultima persona che vedevo fosse uno sconosciuto”.

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