Non profit
Isoke, la maman anti trattaha sempre più amiche
marciapiede addio In Val d'Aosta è nata la casa che ospita le ex schiave del sesso
di Redazione
«Stupro a pagamento». Spiega così Isoke Aikpitanyi, nigeriana, quello che succede in Italia alle sue connazionali vittime della tratta. Un anno fa il suo libro Le ragazze di Benin City (edizioni Melampo), scritto a due mani con la giornalista Laura Maragnani, ha strappato un velo raccontando il traffico di merce umana che dalla Nigeria finisce sui marciapiedi d’Italia. Da allora, tutti i giorni, le ha telefonato qualche ragazza in cerca di aiuto: in un anno oltre 300 da ogni regione dello Stivale. Nigeriane come lei, la vedono come un punto di riferimento e una speranza di riscatto. Anche perché Isoke, sulla base della propria esperienza di ex vittima, ha creato una nuova via d’uscita che prima non c’era, o era poco praticata. Il suo approccio si basa sul mutuo-auto aiuto, sul coinvolgimento di clienti ed ex clienti e su un percorso di accompagnamento graduale verso la liberazione dai vincoli psicologici cui le nigeriane in particolare sono soggette.
Quella di Isoke è una storia semplice nella sua crudeltà: è il 98 e Isoke ha vent’anni quando parte per l’Italia. Un’agenzia in Nigeria, che poi si rivelerà fittizia, le assicura un lavoro come venditrice di frutta e verdura. A Londra i primi interrogativi quando, insieme ad altre, sente i propri accompagnatori parlare al telefono di «merce arrivata». Ma non è ancora consapevolezza di ciò che sta per accaderle. A Torino le dicono che il suo datore di lavoro verrà a prenderla alla stazione, ma lei a Porta Nuova aspetta per ore, da sola, senza che si presenti nessuno. Dopo molto tempo si ferma un’altra nigeriana. È venuta per Isoke, ma lei non lo sa. Raccoglie il suo sfogo, sente che non ha un posto dove dormire. Le dice che può andare a casa sua, che tra connazionali ci si deve aiutare. È la maman e per Isoke inizia un’altra vita, fatta di minacce, violenze fisiche e torture per insegnare, a lei e alle altre, che ormai non ci sono alternative.
«Quando l’ho incontrata stava provando da due anni a liberarsi», continua Magnabosco. «E questo è indicativo di come siano insufficienti mezzi e percorsi per aiutare chi è vittima della tratta. È stata anche due volte in ospedale, a causa delle violenze che i trafficanti riservavano a chi voleva ribellarsi. Ma non un’associazione è passata ad informarsi e nessuno le ha offerto una via d’uscita». Dopo un nuovo pestaggio Isoke finisce in coma. Quando si riprende decide di trasferirsi da Claudio. «All’inizio volevamo solo dimenticare. Ma non ci siamo riusciti, perché alla nostra porta hanno cominciato a bussare ragazze in cerca di aiuto, e anche clienti che si erano resi conto di cos’era la tratta. A lei è venuto spontaneo occuparsi delle prime, a me dei secondi».
Oggi in ogni regione d’Italia c’è un gruppo di auto-mutuo aiuto di clienti ed ex clienti della prostituzione che fa parte della rete creata da Claudio Magnabosco. «L’anno scorso siamo arrivati ad essere oltre duecento. Tra noi ci sono avvocati, psicologi e anche un prete. Partiamo dalle nostre fragilità, dal fatto che chi cerca una prostituta in molti casi ha dei problemi con se stesso da risolvere. E cerchiamo di fare qualcosa per sensibilizzare altri sul problema della tratta e della schiavitù cui sono sottoposte le ragazze».
Isoke ha applicato senza sapere. È partita da un’idea: «Offrire alle altre le possibilità che io non ho avuto». Ha incontrato don Oreste Benzi, si è confrontata con il Gruppo Abele e con l’Arci. «La mia è un’esperienza piccola» dice, «poi l’importante è fare rete».
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