Famiglia & Minori

Zidane, il destino abissale del pallone

Perché lo ha fatto? Perché con quella testata ha rovinato l’ufficializzazione della sua leggenda? Perché ha rinunciato di diventare, lui di sangue algerino, il francese più adorato?

di Fabrizio Tonello

C ome si è passati dal «Dio dei francesi» (Libération, sabato 8 luglio) alla «Leggenda cancellata» (Le Monde, lunedì 11 luglio)? Domenica sera, al quinto minuto del secondo tempo supplementare, ci sono stati gli insulti di Materazzi e la testata di Zidane, che si è fatto espellere. L?Equipe, il quotidiano sportivo più venduto in Francia, ha scritto: «Per qualche momento in quello stadio olimpico di Berlino in cui si è scritta la storia del mondo, lei era anche Alì, l?ultimo genio dei ring. Ma né Alì, né Pelè, né Owens, né alcun altro mostro sacro del loro tipo, ha mai infranto le regole più elementari dello sport». Allo smemorato redattore del quotidiano sportivo francese occorrerà ricordare che Mohammed Alì è stato celebrato soprattutto per le regole che ha violato rifiutandosi di partecipare a una guerra ingiusta. Un artista del ring, il ragazzotto convertito all?Islam è diventato un simbolo per i neri di tutto il mondo, per gli amanti della boxe di tutto il mondo, proprio per aver pagato il prezzo di violare le regole, perdendo il titolo mondiale. Anche Zidane ha perso un titolo mondiale che forse la Francia avrebbe potuto vincere. Il rigore, lui, l?avrebbe certamente segnato ed è difficile dire cosa sarebbe accaduto ai suoi compagni, rassicurati dalla sua presenza. Né sappiamo se i nervi degli italiani avrebbero tenuto fino al sesto, al settimo, o al decimo rigore segnato dai francesi. Ma la testata di Zizou ha un significato che va al di là del risultato finale della partita, lo fa entrare per sempre nella storia del calcio, ben di più di quanto avrebbe potuto fare la conquista della Coppa del mondo. Facciamo un passo indietro: la Francia di domenica sera è stata trascinata per i capelli fino alla finale e al pareggio con l?Italia dopo 120 minuti di gioco. Ce l?ha trascinata Zidane, che ha non solo segnato e fatto segnare, ma distribuito i ruoli in campo (con l?aiuto di Thuram), rincuorato i compagni, diretto i giovani e convinto gli scettici. Non è un mistero per nessuno che il commissario tecnico Domenech non avesse proprio nulla dell?abilità di Lippi: la squadra è stata messa insieme da Zidane e Thuram. Uno davanti, a fare dei gol, l?altro dietro ad anticipare puntualmente gli avversari, come ha fatto anche domenica sera con Toni. C?erano dunque delle buone ragioni per la ?venerazione? di Zidane (ancora Libération di sabato), ragioni che il rigore segnato contro l?Italia al quinto minuto e il colpo di testa durante i tempi supplementari potevano soltanto ingigantire. La moviola ci ha mostrato che il colpo di testa parato da Buffon era preciso e potente quanto i due che Zidane realizzò nel 1998 dando la vittoria alla Francia in quel Mondiale: solo la classe del nostro portiere ha evitato che la partita finisse lì. è stato in quel momento che gli dei, quelli sì spietati, hanno deciso di dare una lezione all?eroe del momento, giusto per mostrare che a nessuno è concesso sentirsi uguale loro. I greci hanno molto scritto sulla hybris, l?orgoglio che conduce gli uomini alla rovina, ma Zidane ne è sempre sembrato immune: niente vanterie, niente mondanità, niente dichiarazioni roboanti. Un?intera carriera nelle vesti del migliore in campo, del più umile fuori dallo stadio. Ancora più crudele, quindi, l?accanirsi della sorte contro Zizou. Per chi ha seguito con attenzione la partita, i segni premonitori erano visibili: qualche minuto prima Zidane aveva chiesto il cambio, dopo aver preso una botta alla spalla. Aveva guardato verso la panchina e fatto segno che voleva uscire ma Domenech aveva fatto finta di nulla: i condottieri non possono farsi sostituire nei minuti dell?assalto decisivo. Zizou doveva soffrire fino alla fine. E così, mentre i minuti scorrevano lentissimi, Zidane è rimasto in campo, ferito, ad attendere il fato. Il destino si è presentato nelle vesti di Marco Materazzi, uno che si autodefinisce «troppo ignorante per sapere cosa vuol dire terrorista»; probabilmente è vero, l?insulto geopolitico non sembra alla sua portata: avrà offeso la moglie, la sorella, la madre di Zidane, un uomo delle montagne algerine, anche se è nato a Marsiglia 34 anni fa. Non c?è voluto di più per far dimenticare le 108 presenze in nazionale, i 31 gol segnati, i 15 milioni di euro di guadagni annui, i contratti pubblicitari con le Assicurazioni Generali, l?acqua Volvic, le scarpette Adidas, i telefonini Orange, le auto Audi. Zidane ha fatto due passi in avanti e scagliato una testata alla bocca dello stomaco del nemico. Un po? di confusione, l?incertezza dell?arbitro che non aveva visto e poi l?umiliazione del cartellino rosso. «Imperdonabile» è stato il commento di tutti i sicofanti che fino a 30 secondi prima saccheggiavano i dizionari alla ricerca di nuovi aggettivi, di lodi più barocche di quelle usate fino alla vigilia. Dimenticando per un attimo gli sponsor, la Coppa del mondo, il tributo della Francia intera che lo aspettava di lì a 10 minuti, Zidane ha mostrato di non essere un ?professionista?, un ragioniere del pallone, una scimmia ammaestrata. Era stato definito ?carrello da supermercato ambulante? per il numero record di contratti pubblicitari, in quell?istante di follia ha mostrato di essere umano. Come cento eroi tragici creati da Shakespeare, Zidane non ha pesato costi e benefici, scelto la via più ragionevole, valutato esattamente i rapporti di forza. Come Hotspur, la testa calda dell?Enrico IV, Zizou ha voluto «saltare nel cuore degli abissi marini, dove lo scandaglio non giunge a toccar fondo, e da laggiù tirare a galla per i capelli l?onore straannegato». Già, l?onore di un uomo: cosa sarà mai di fronte a 9 milioni di euro di sponsorizzazioni?


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