Attivismo civico & Terzo settore

Sostegno a distanza, così gli italiani “globalizzano”

di Redazione

Il vostro settimanale ha presentato alcuni interessanti numeri emersi dallo studio sulla realtà del sostegno a distanza (Sad), una delle forme di solidarietà più conosciute e diffuse tra gli italiani, presentato nei giorni scorsi a Roma da parte dell’Agenzia per il terzo settore in collaborazione con il Forum Sad. I sostegni a distanza attivati nel mondo da 111 organizzazioni italiane aderenti al Forum, a favore di singoli beneficiari o comunità, sono complessivamente 375.262. Ma sappiamo che il sostegno a distanza attraverso anche piccole organizzazioni arriva a sostenere circa 2 milioni di minori di Paesi poveri.
Pur tenendo conto dei diversi costi di funzionamento delle varie associazioni, si può ipotizzare che all’incirca l’80% dell’importo richiesto vada a beneficio del bambino sostenuto, per un importo medio quindi di circa 225 euro, salvo che la raccolta fondi per il Sad non serva a finanziare anche altri interventi pur assistenziali anche se non direttamente rivolti ai bambini inseriti nel programma.
Ma cosa rappresenta una tale cifra, per esempio per la vita di un bambino africano? Prendiamo il caso del Rwanda: 225 euro corrisponderebbero a circa 180mila franchi rwandesi, una somma pari a dieci mesi di stipendio di un lavoratore agricolo rwandese. È del tutto evidente come l’entrata di una simile cifra in una famiglia di un villaggio rwandese ne cambierebbe la vita in maniera significativa, oltre ad alterare l’equilibrio comunitario, con la famiglia destinataria che fa un salto nel proprio stile di vita rispetto alle famiglie vicine non destinatarie di una simile fortuna.
Proprio per questo, a mero titolo di esempio, l’Associazione Kwizera, impegnata da anni in Rwanda, richiede solo 115 euro per ogni adozione, destinando all’assistito 85mila frw, una cifra che, rappresentando più di quattro stipendi di un lavorante agricolo, forse potrebbe essere ulteriormente contenuta. Di fronte a un fatto del genere, che dovrebbe valere anche per gli altri Paesi africani, forse qualche riflessione va fatta sul modo migliore per arrivare a sostenere bambini veramente bisognosi, evitando modalità che, per l’ammontare del contributo, possono alterare equilibri delicati all’interno delle famiglie e delle comunità e, a ben vedere, configurarsi più che in un aiuto quasi in un sussidio dal dubbio valore educativo.
Perciò, credo ci sia sicuramente ampia materia di riflessione.
Marco, email


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