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Per i bimbi di Lampedusa non c’è solo la comunità

Il destino dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia, solitamente, è la comunità. Ma ci sono anche positive esperienze di affido in famiglie immigrate, con alle spalle lo stesso percorso. Una scommessa iniziata a Parma...

di Sara De Carli

Quelle quattro bare bianche, su cui la pietà dei lampedusani aveva appoggiato un orsetto di peluche, sono il simbolo dei tanti minori coinvolti nei viaggi della speranza verso l’Italia. I recenti sbarchi a Lampedusa stanno tornando a far parlare di minori stranieri non accompagnati, dopo alcuni anni di relativa diminuzione del loro numero. Ad occuparsi di loro, però, non c’è più nemmeno il Comitato Minori Stranieri, soppresso nel luglio 2012 con la spending review. Per loro la soluzione più scontata è la comunità, da cui spesso però fuggono. Qualche isolano ha già detto: «Il mio desiderio più grande è avere un minore, un bimbo, un piccolo migrante che ha perso tutto, che ha provato la disperazione, in affido. Perché non è possibile?». La comunità in effetti non è l’unica strada per questi bambini: c’è anche l’affido omoculturale, sperimentato già in passato con buoni risultati. Parma è stata la prima città in Italia ad avviarlo, fin dal 2000, sfatando il pregiudizio secondo cui una famiglia sta troppo stretta a un adolescente adultizzato quale è un sedicenne che ha affrontato da solo un progetto migratorio. Parma fu poi seguita ad esempio da Milano, dove un progetto simile iniziò nel marzo 2007, da Genova e da Cremona.

La marcia in più dell’affido omoculturale sta nella famiglia accogliente, a sua volta migrante, con la stessa cultura del minore straniero: non c’è la barriera linguistica, è più facile decodificare i bisogni e i comportamenti dei ragazzi e pure mantenere i rapporti con i genitori, la famiglia che ha già affrontato il percorso migratorio diventa un modello di percorso positivo, sa quando è il caso di premere sull’accelaratore dell’integrazione e quando porre un freno all’assimilazione, garantisce l’inserimento nella comunità di riferimento, soprattutto con altri coetanei…  A Parma il 2007 fu l’anno record, quando su 101 minori stranieri non accompagnati presenti in città, solo tre furono affidati a comunità educative. Oggi i numeri sono molto inferiori (15 affidi omoculturali nel 2011, 4 nel 2012), ma il calo – spiega Elisabetta Mora, responsabile della Struttura Operativa Risorse Territoriali del Comune di Parma, sotto cui sta il servizio Affidi Omoculturali – non mette in discussione la bontà del modello: «In questi anni circa 260 minori stranieri non accompagnati sono stati accolti con l’affido omoculturale, con 200 famiglie coinvolte. Molte hanno dato la loro disponibilità più volte, la cosa bella è che anche alcuni ex ragazzini in affido si sono poi offerti come affidatari. Quella dell’affido è sempre la prima strada che tentiamo». Albania, Marocco, Moldavia e Tunisia sono le nazionalità più presenti.

«Un punto di forza del modello è l’esempio di integrazione che viene offerto ai ragazzi, l’altro è la valorizzazione delle famiglie immigrate, che agli occhi della stessa cittadinanza sono ora un valore aggiunto». Il calo dei numeri del servizio è legato al fatto che sono in calo i MSNA: l’Italia ormai è più che altro luogo di passaggio per gli immigrati», spiega Mora. Ma c’è anche un secondo motivo: «I minori spesso arrivano all’interno di un percorso migratorio tracciato dalla famiglia, condiviso. Vengono qui “richiamati” da qualcuno che ha già fatto quell’identico percorso: possiamo responsabilizzarli ancora di più con la tutela diretta di quei giovani».


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