Welfare & Lavoro

Mafia capitale-globale: il business dei migranti negli Usa

Tra il 2005 e il 2012 l’Italia ha speso 1,6 miliardi di euro, 281 milioni provenienti dall’Unione Europea, per affrontare un perenne stato di emergenza che ad alcuni "rendeva più della droga". Gli Stati Uniti spendono invece 2,8 miliardi di dollari l'anno per la detenzione dei migranti clandestini. Il doppio di quanto spendevano nel 2006. Il tutto a vantaggio delle multinazionali della detenzione. Anche per queste corporation il business dei migranti "rende più della droga"

di Marco Dotti

«Con gli immigrati si fanno più soldi che con la droga». Le parole di Salvatore Buzzi, presidente della "Cooperativa 29 giugno" – 1400 dipendenti, un giro d'affari di milioni di euro per l'intero gruppo controllato – oggi al centro dello scandalo "Mafia capitale", mettono i brividi.

Al tempo stesso, chiunque ancora non abbia la coscienza dissociata dall'intelligenza non può negare che in quelle parole vi sia una, per quanto cinica e brutale, verità: sulla pelle degli migranti si fanno molti soldi, a Roma come altrove. Il problema, come tutto oramai, è locale ma al contempo globale.

Nella ragnatela-mondo, la tratta globale della "merce umana" – ricordiamo che in Italia, secondo dati internazionali, vi sono circa 12mila persone in condizioni di schiavitù – è sempre pronta a mutare un disvalore morale. in un valore economico. 

Negli Stati Uniti, ad esempio. nonostante l'attenzione sia andata in questi giorni al tentativo di Barak Obama di riformare il sisttema immigratorio, va ricordato che la commercializzazione dei migranti, visti come asset economici, va ovunque di pari passo con la privatizzazione della loro detenzione o della gestione – sempre privata – delle loro fragilità.

Tra il 2005 e il 2012 l’Italia ha speso 1,6 miliardi di euro, 281 milioni provenienti dall’Unione Europea, per affrontare un perenne stato di emergenza che oggi sappiamo ha reso come la gallina dalle uova d'oro a certi cooperanti. Gli Stati Uniti, invece, spendono – ma nei bilanci si parla sempre di "investimenti" – 2,8 miuliardi di dollari l'anno per la detenzione dei migranti clandestini. Il doppio di quanto spendevano nel 2006. 

Ogni Stato ha circa 400 posti letto per minori clandestini non accompagnati, mentre il numero i migranti adulti clandestini incarcerati nei centri di detenzione sul suolo americano è di 34mila persone al giorno. Una soglia di massima capienza che deve essere tenuta costante per mantenere la redditività del sistema.  

Questo genera inevitabili distorsioni e una radicale inversione fra mezzi e fini: non si recludono "semplicemente" clandestini, ma si producono quotidianamente arresti di clandestini al fine di garantire la sopravvivenza economica del centro deputato a recluderli

In numeri: ogni giorno,34mila persone vengono smistate o confermate in detenzione in uno del 250 centri sparsi sul territorio.

Sono centri privati, per proprietà o comunque per gestione, affidati a società come la Geo Corp (qui sopra vedete uno dei loro vagoni di trasporto), colossi transnazionali della detenzione, che operano quasi ovunque nel mondo. Alla richiesta di tagliare una voce di spesa che si fa sempre più pesante, le corporation della detenzione – che, oltre ai centri di detenzione per migranti clandestini, gestiscono carceri in ogni dove – hanno ottenuto il rifinanziamento delle loro attività, con un incremento di 440 milioni di dollari per il capitolo "clandestini".

Questo significa, come ha osservato il padre gesuita Thomas Greene, che il compito delle autorità di polizia finisce per essere quello di "garantire" la redditività del business. In altri termini, che le strutture costruite e gestite dalle società private di detenzione devono essere riempite quotidianamente di migranti, nella maggior parte dei casi senza precedenti penali, in modo tale da assicurare la soglia giornaliera di redditività e di capienza, al costo di 160 euro giornalieri pro capite per persona.

L'uomo quasi non serve più, non nei normali processi produttivi del "mundo civilizado".  E così, come ha osservato, sul fronte del neodarvwinismo sociale in chiave hi-tech, il professor Yuval Noah Harari, dell'Università Ebraica di Gerusalemme, quando l'economia prende a godere di "servizi di algoritmi altamente intelligenti e non coscienti, il comune essere umano comincia a perdere valore". 

Questo sul piano morale. Ma sul piano finanziario, anche una vita di scarto può essere messa a valore e produrre per altri quegli utili che, oramai, non potrà più produrre per sé. In questo senso – cinico e brutale, ripetiamolo –  le biopolotiche dell'esclusione sono un business imponente, su scala globale, con impatto locale. Rendono quasi più della droga e comportano assai meno rischi di produzione. 

@oilforbook

 

 


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