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Cardinal Onaiyekan: «Boko Haram minaccia tutti i nigeriani non solo i cristiani»

Il vescovo di Abuja a Milano invita a non vedere i cristiani del suo Paese come dei perseguitati: «tutti i nigeriani sono nel mirino di Boko Haram, una minoranza che però è come un veleno che uccide». È sicuro che la soluzione può venire solo dai musulmani «è dall’interno dell’Islam che deve venire il modo di spezzare questa catena di violenza»

di Antonietta Nembri

«Non stiamo vivendo una persecuzione. I cristiani in Nigeria non sono perseguitati. La situazione va guardata con verità. La Nigeria non è una nazione islamica. È vero che ci sono delle parti del Paese dove la chiesa locale vive delle difficoltà, soprattutto nel nord-est hanno distrutto chiese, scuole, ma hanno attaccato strutture governative e anche qualche moschea. I cristiani nigeriani vivono gli stessi problemi di tutti gli altri nigeriani». A parlare è il cardinale John Onaiyekan, vescovo di Abuja, capitale della Nigeria, che da ieri è a Milano dove oggi (martedì 10 febbraio) incontra la chiesa ambrosiana. E parla senza peli sulla lingua, convinto che solo la verità conti. E spiazza chi si fosse aspettato da lui una lettura unilaterale del dramma che sta vivendo il suo Paese.

Incontrando la stampa ha spiegato a chi vede la situazione dall’Europa che cosa si stia vivendo in Nigeria con i continui attacchi di Boko Haram.
«Sono una minoranza, una minima minoranza tra gli islamici, ma sono pericolosi, sono come un veleno e anche una minima parte può uccidere», osserva monsignor Onaiyekan.

Per il prelato, 71 anni ben portati, è importante far capire a noi europei la reale situazione del suo paese. «In Nigeria su 160 milioni di abitanti siamo fifty-fifty tra cristiani e musulmani, anche solo per la necessità di vivere insieme dobbiamo rispettarci e per noi nigeriani non è difficile. Per un nigeriano cristiano un nigeriano musulmano non è uno straniero e lo stesso vale per un musulmano. Siamo entrambi dei convertiti è una scelta personale che ciascuno ha fatto», dice sorridendo e ricordando che lui stesso ha uno zio musulmano: «anche se nella nostra lingua la parola zio non esiste, per me è un altro padre» e una sorella ha sposato un musulmano «ho battezzato io stesso i suoi due figli».

Su Boko Haram ha le idee molto chiare.
«Sono musulmani che vogliono essere più forti e che considerano tutto ciò che viene dall’occidente come haram cioè proibito. Ma è solo un nome. Tra di loro ci sono tanti che sono istruiti anche in materie occidentali, usano social e internet. Sono parte della rete internazionale dell’integralismo islamico violento. Tra di loro ci sono molti che sono cresciuti nei campi di Al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan. Ma sono una minima minoranza. Pericolosa. Attaccano le comunità cristiane, ma uccidono anche musulmani che non sono d’accordo con loro. In Nigeria hanno ucciso diversi imam, però molti musulmani non vogliono parlarne. Anche se le cose ora sembrano cambiate».

Il cardinal Onaiyekan che è arrivato a Milano da Amman in Giordania dove si trovava per un incontro tra capi religiosi sottolinea come oggi «le leadership musulmane hanno iniziato a parlare. Ed è quello che noi chiediamo loro da tempo. Se un figlio sbaglia non per questo cessa di essere tuo figlio. Per questo io dico loro che devono parlare, denunciare. Tanti imam nigeriani hanno scritto ai giovani musulmani di non farsi influenzare da Boko Haram e finalmente questo non succede solo in Nigeria, anche la comunità islamica mondiale ha iniziato a riconoscere che si tratta di un problema islamico: sono terroristi islamici».

Ma per il vescovo di Abuja non ci si deve fermare qui.
«Non basta condannare.
Occorre guardare anche al tipo di educazione che viene dato ai bambini, a quello che viene insegnato nelle madrasse, all’ideologia islamica per cui il discorso normale è un non rispetto delle altre religioni qui c’è un terreno fertile per la propaganda integralista».

Davanti all’urgenza di fermare Boko Haram il cardinale Onaiyekan è sicuro che la Nigeria ce la farà «se finora non è accaduto è perché non c’è stata la volontà politica di sconfiggere davvero i terroristi. Sento dire che in sei settimane le nostre forze armate elimineranno il problema di Boko Haram, ma avrei voluto che lo avessero detto due anni fa. Ho il dubbio che si tratti di propaganda elettorale», dice con forza. Le elezioni, infatti, previste per metà mese sono state rinviate.

Di una cosa è sicuro il vescovo di Abuja, in Nigeria non serve l’intervento di una coalizione internazionale e il suo pensiero va ai precedenti interventi. «Gli Usa sono intervenuti in Iraq e vediamo cosa è successo, i francesi sono intervenuti in Libia. Io sono molto scettico: quando questi grandi paesi intervengono lo fanno in base a una loro agenda. Per questo dobbiamo essere molto attenti ad aprire le porte alle truppe internazionali. La domanda è: che cosa vengono a fare?»

E c’è anche un’altra ragione: «Le iniziative dell’Occidente in Medio Oriente hanno causato molte reazioni: gli shabaab, Boko Haram, lo stato islamico tutti questi gruppi parlano dei crimini dell’occidente per quanto è stato fatto in Afghanistan, in Iraq, in Libia per non parlare del grande problema israelo-palestinese e nessuno si ricorda della presenza dei palestinesi cristiani. Una cosa tira l’altra: dall’11 settembre 2001 c’è stata la guerra contro il terrorismo. Si è distrutto un Paese per prendere Saddam Hussein e a noi che guardiamo dall’Africa i conti non tornano. Perché uccidere migliaia di persone per prendere un uomo? E dall’altra parte nell’Islam parlano sempre di crociate dell’occidente. Non importa se è vero, ma sono i discorsi che si fanno. Ma non sarà l’Occidente, non sarò io a far cambiare atteggiamento. Ma è dall’interno dell’Islam che deve venire il modo di spezzare questa catena di violenza».

Foto: Getty Images


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