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Azzardo, «costi sociali altissimi se non blocchiamo la pubblicità»

L'intervento del direttore della Fondazione Zancan alla vigilia del passaggio in consiglio dei ministri del decreto legislativo di regolamentazione dei giochi pubblici

di Tiziano Vecchiato

 

Dipendenze senza sostanze”, così era stato qualificato il problema nel Rapporto 2004 sulla povertà in Italia (Caritas Italiana e Fondazione Zancan, Vuoti a perdere, ed. Feltrinelli). La sostanza non c’è (droga, alcol…), non è chimica, è più subdola e impalpabile: cessione senza condizioni al gioco d’azzardo della propria volontà. Oggi il problema viene definito “ludopatia”, patologia mentale con effetti indesiderati, dipendenza patologica, degrado umano, impoverimento con menzogne, ricorso all’usura, altro ancora.

È una peste moderna. Gli untori interessati alla sua espansione non sono pochi. Insieme  e collusivamente contribuiscono a promuovere il gioco compulsivo. Tra loro c’è anche chi dovrebbe fare di tutto perché patologie come questa, ad alto impatto sociale, non si estendano. È stato un gesto simbolico contrastare questa forma di dipendenza con i Lea (livelli essenziali di assistenza), si è voluti dire: è un problema anche sanitario che si può curare.

Cosa significa includere nei Lea la “ludopatia”? Prendere atto che le forme di dipendenza da sostanze e senza sostanze devono essere trattate dai servizi sanitari: quelli che si occupano di “dipendenze” e/o dai “servizi di salute mentale”. Quali dei due? È un problema organizzativo, a carico delle Regioni, visto che in molti casi i servizi per le dipendenze sono un’articolazione organizzativa dei dipartimenti di salute mentale.

Il decreto Balduzzi lo precisa quando dice “nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica”. Non si tratta di aggiungere nuove risorse, ma di agire con quelle esistenti. Il risultato è a somma zero per il livello centrale, integrativo dell’offerta sanitaria per le Regioni, a costo indefinito per le famiglie, visto che le dipendenze senza sostanze fanno danni irreparabili al loro interno.

Nel caso dell’aviaria, la capacità mediatica dei produttori di vaccini ha esaltato la paura dell’epidemia, al punto che molti ministeri della salute, e la stessa Oms, non hanno avuto dubbi sulla necessità di destinare risorse ingenti per contrastarla, anche se il rischio si è poi rivelato limitato. A volte l’apparenza inganna e influenza negativamente i decisori. Nel caso della ludopatia, le scelte del governo potrebbero invece sottovalutare la sua già estesa portata epidemiologica. Gian Antonio Stella due anni fa sintetizzava così il problema: “su un monte di 321 miliardi di euro spesi nel mondo nel 2012 nei giochi legali (ripetiamolo: 321 miliardi netti, rimasti agli organizzatori dopo aver pagato le vincite) circa il 25% dei denari buttati nell'azzardo era americano, il 15,6% cinese, il 9,7% giapponese e quasi il 6% italiano. Quarti al mondo” (Corriere Economia, 6 maggio 2013). In pratica eravamo primi in Europa. Se la pubblicità non sarà vietata non solo manterremo questo triste primato, ma i costi “sociali e istituzionali” saranno incrementali: i primi (sociali) saranno a carico delle famiglie lacerate e impoverite, mentre i secondi (istituzionali) saranno a carico dei Comuni, che dovranno assisterle economicamente. Al resto ci penseranno i Lea.

 


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