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Vivere la sessualità dopo una grave cerebrolesione acquisita

Una ricerca della Fondazione Don Gnocchi indaga per la prima volta in Europa la vita affettiva e sessuale dopo una grave cerebrolesione acquisita. Le coppie restano insieme, spostando il baricentro sulla dimensione affettiva: ora però servono percorsi di accompagnamento ad hoc

di Sara De Carli

Si resta insieme, anche senza sesso, sintonizzandosi sulla dimensione affettiva e sentimentale: è quanto accade nelle coppie in cui uno dei due partner è stato colpito da una grave cerebrolesione acquisita (GCA). Per accompagnere queste cooppie la Fondazione Don Carlo Gnocchi avvierà percorsi di continuità assistenziale ad hoc, dopo la dimissione: una prima concreta iniziativa sarà una giornata formativa dedicata alla vita affettiva e sessualità delle persone con CGA e alla loro gestione, indirizzata agli psicologi che operano nelle strutture di riabilitazione per pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite, organizzata con la Società degli Psicologi di Area Neuropsicologica.

La vita affettiva e la sessualità delle coppie in cui un partner ha avuto una grave cerebrolesione acquisita è stata indagata da una ricerca coordinata dalla Fondazione Don Gnocchi: la prima a livello scientifico in Italia e in Europa. I risultati sono stati presentati a Bruxelles dalla professoressa Anna Mazzucchi (neurologa e neuropsicologa, coordinatrice della rete GCA dei Centri della Fondazione Don Gnocchi) e dal dottor Antonello D’Amato (neurologo della rete GCA dei Centri Don Gnocchi) nell’ambito della conferenza internazionale promossa dalla European Brain Injury Society alla Libera Università di Bruxelles sul tema “Sexe, intimitè et lèsions cèrèbrales acquises”. I risultati della ricerca saranno illustrati anche a Milano all’European Congress of Psycology, che si terrà a luglio a Milano.

L’indagine ha coinvolto 145 famiglie italiane di pazienti con grave cerebrolesione acquisita. La lesione cerebrale è percepita come un evento perturbatore della vita di coppia, gli effetti negativi sono percepiti con maggiore intensità dai partner, mentre la persona con GCA – spesso non adeguatamente consapevole dei propri cambiamenti – riferisce in genere di una vita sessuale più attiva e soddisfacente. La relazione di coppia quindi dopo la GCA si realizza principalmente nella dimensione affettiva e sentimentale, a scapito di quella erotica e sessuale: prevale una relazione affettiva di accudimento, accompagnata da un forte sentimento d’amore, espresso da entrambi i partner, il desiderio è affievolita dalla presenza di disordini comportamentali e dalla gravità della disabilità, soprattutto da quella cognitiva. E tuttavia la stabilità coniugale dopo queste gravi patologie si mantiene comunque alta.

«Essendo la prima esperienza di studio su questo tema in ambito nazionale ed europeo – spiega la professoressa Mazzucchi – abbiamo avvertito la responsabilità di coinvolgere le famiglie di persone con GCA che ruotano intorno alle strutture di riabilitazione della Fondazione Don Gnocchi, ma anche altre strutture riabilitative del Paese e le associazioni dei familiari con le quali da anni stiamo intessendo un dialogo costruttivo per condividere problemi e trovare risposte dopo la dimissione dai reparti. Lo scopo era quello di conoscere quale potesse essere l’effetto di una grave cerebrolesione sulla vita sessuale e sentimentale delle persone, ma anche di conoscere come l’esperienza d’intimità e di relazione si fosse mantenuta, o modificata, o in qualche modo adattata alla nuova situazione, e se e quanto la componente affettiva fosse stata in grado di far superare l’impatto con una realtà relazionale in molti modi diversa».

Le persone e le coppie coinvolte dalla ricerca hanno dimostrato una partecipazione molto interessata, con reazioni di sollievo nel poter finalmente esprimere i propri bisogni legati alla vita di relazione e alla sessualità e desiderio di poter raccontare, di essere ascoltati, compresi, anche aiutati con suggerimenti e consigli. «Le tante storie che abbiamo ascoltato ci hanno colpito per la dedizione del partner, ci hanno commosso per lo spirito di sacrificio, per l’amore profondo dimostrato nonostante sacrifici e rinunce», affermano gli autori della ricerca. «Ora che sappiamo di più delle problematiche sessuo-relazionali dei nostri pazienti e delle difficoltà dei loro partner, ora che le famiglie ci guardano per essere aiutate e sostenute nel loro difficile percorso, non possiamo che trovare le modalità giuste per accompagnare le famiglie, informandole per tempo anche su come gestire queste inevitabili modificazioni, sostenendo paziente e partner in un percorso riabilitativo dedicato da avviare in prossimità della dimissione dalle strutture, ma che necessariamente deve proseguire dopo il rientro a casa».


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