Politica & Istituzioni

Accoglienza diffusa: nelle aree alpine funziona meglio che in città

La Fondazione Montagne Italia ha illustrato alla Camera dei deputati i dati di cinquanta province italiane e i casi positivi di integrazione nei piccoli comuni montani. L'importanza di fare rete

di Marina Moioli

C'è l'esempio di Riace, in Calabria, dove convivono persone di 22 nazionalità differenti. E quello di Ceres in Piemonte, nel cuore delle valli di Lanzo, dove è nato un coro di richiudenti asilo provenienti dall'Africa occidentale che cantano in dialetto piemontese. Ci sono i profughi impiegati in progetti sportivi a Maresca, sulla montagna pistoiese, e quelli di Malegno, in Val Camonica, impiegati in lavori socialmente utili in quella che è stata soprannominata "la valle accogliente".

Sono tantissimi ormai gli esempi di integrazione. E i più efficaci vengono dai comuni di montagna che sono stati capaci di adottare modelli efficaci di accoglienza diffusa. Una vera e propria mappa di tutte le iniziative è stata curata dalla Fondazione Montagne Italia, che ha presentato i dati di cinquanta province italiane nel corso di una conferenza stampa tenuta la scorsa settimana alla Camera dei Deputati, convocata dall'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della Montagna, alla quale hanno preso parte i deputati Enrico Borghi, Roger De Menech e Francesca Bonomo.

A illustrare i dati di cinquanta province italiane e le mappe dell'accoglienza è stato l'architetto Ugo Baldini per la Fondazione Montagne Italia insieme a Marco Bussone, vicepresidente Uncem Piemonte, con una serie di casi positivi di integrazione nelle aree alpine e appenniniche del Paese.

Oggi quasi un quinto degli stranieri in Italia, 889.602 persone su un totale di 5.014.437, vive e lavora nelle aree montane. Ma se si incentivasse l'integrazione con azioni concrete gli immigrati potrebbero aumentare e rivelarsi una risorsa per questi territori che negli ultimi anni sono stati abbandonati dagli autoctoni.

Dall’incontro è emerso che la montagna è capace di accogliere più delle aree urbane, creando progetti dal basso tra i Comuni, con le associazioni locali, la rete del volontariato, la Caritas, le parrocchie. Le zone montane sono diverse dalle città nella capacità di creare opportunità di crescita, sviluppo, manutenzione e tutela del territorio, protezione ambientale, ma anche garanzia per la salvaguardia dei servizi pubblici locali, a partire dalle scuole. Lontani dall'invasione, con tassi diversi di presenza (più bassi), con integrazione migliore e più efficace.



«Si parla spesso, forse troppo, di immigrazione sull'onda dell'emozione e non delle analisi, che invece oggi facciamo con dati ed esempi virtuosi di accoglienza», ha detto l'onorevole Enrico Borghi, presidente nazionale dell'Uncem (Unione dei Comuni e degli Enti montani). L'assorbimento di stranieri, nei territori montani è inferiore del 2% rispetto ai territori metropolitani. I dati ci dicono che non siamo in presenza di nessuna invasione, ma anche che gli immigrati stanno rimpiazzando la manodopera autoctona che non svolge più determinati mestieri e integrando sia nelle filiere di produzione agroalimentari, sia per quanto riguarda le manutenzioni ambientali e la cura del territorio. Le Terre Alte con i Comuni si stanno organizzando in modo autonomo. Lo scriveremo come Intergruppo al Presidente Renzi e al Ministro Alfano, affinché si attuino subito politiche nazionali di supporto ai Comuni, usando i fondi già a disposizione. Con una battuta, è meglio impiegare gli immigrati per manutenzioni territoriali e azioni ambientali anziché tenerli fermi nei centri di accoglienza».

I dati forniti dalla Fondazione Montagne Italia indicano un divario tra nord e sud in queste politiche, che impongono una risposta modulata in base alle esigenze del territorio, alle problematiche e potenzialità. Obiettivo fondamentale, impedire l'abbandono, garantire la presenza di persone e imprese. Ma anche evitare che nelle aree urbane si creino banlieu perché l'integrazione non funziona. «Dobbiamo utilizzare fondi e incentivi dell'Unione europea», ha proseguito Borghi, «per inserire meglio e di più gli immigrati nelle filiere produttive, convertendo quello che oggi appare un problema in risorsa in quei territori dove la denatalità è accentuata e il ricambio demografico non c'è più, aprendo la strada alla cosiddetta desertificazione che può essere in tal modo evitata attivando nuove e moderne politiche di welfare attivo».

Secondo Ugo Baldini di Fondazione Montagne Italia, «l'ospitalità ha bisogno di processi organizzativi nuovi, anche semplici. La montagna ospita 6 stranieri su 100 residenti, contro gli 8 delle aree urbane. Un differenziale potenziale di circa 260mila persone, sul quale dobbiamo interrogarci per dare un nuovo ruolo alle persone che potrebbero arrivare e essere inserite nelle filiere produttive».

«I territori montani oggetti di abbandono oggi sono protagonisti dell'accoglienza», ha detto Marco Bussone, vicepresidente Uncem Piemonte. «I comuni chiedono un maggiore supporto alle Regioni e allo Stato. Dove i progetti di accoglienza hanno funzionato è perché erano condivisi da una comunità di valle e non dai singoli Comuni. Proprio come successo nel Parco del Marguerais o nelle Valli di Lanzo».

«I Comuni devono essere aiutati anche su questo tema a fare rete», ha concluso l'onorevole Roger De Menech. «Non è un caso che i progetti migliori d'accoglienza nel territorio nazionale vengano dai piccoli Comuni di montagna, perché i numeri ridotti rendono la situazione più facilmente affrontabile rispetto alle realtà metropolitane dove i grandi numeri complicano le partite. I dati ci aiutano a capire il fenomeno. È evidente che il processo di diluizione della presenza in montagna può essere sopperito in parte dalla presenza di immigrati che lavorano e richiedono servizi. Servono programmazione e strategie. I Comuni non devono agire da soli, ma le politiche sono da attuare a livello sovracomunale. I progetti virtuosi di integrazione oggi affidati alla buona volontà delle comunità, devono essere resi stabili, coordinati e supportati da precise scelte sulle quali le Regioni devono fare la loro parte, all'interno di una cornice unica nazionale».


In allegato il dossier della Fondazione Montagne Italiane.


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