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Sostenibilità sociale e ambientale

Cop21: ultima chiamata per fermare i cambiamenti climatici

I delegati di 192 paesi sono riuniti per firmare un nuovo accordo che permetta di ridurre o fermare le emissioni di Co2. Due mappe e due grafici per capire la posta in gioco alla conferenza sul clima di Parigi

di Donata Columbro

A Parigi sono cominciati i negoziati sul clima: i delegati di 192 paesi sono riuniti per firmare un nuovo accordo che permetta di ridurre o fermare le emissioni di Co2 per mantenere l’aumento della temperatura media sotto la soglia di 2 gradi rispetto all’era preindustriale (1850 circa).

Emissioni, di cosa stiamo parlando?

“La posta in gioco non è mai stata così alta”, ha detto il presidente Francois Hollande nella prima giornata della conferenza. L’importanza dell’appuntamento è riconosciuto da tutti i leader globali, in particolare dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che negli ultimi mesi del suo mandato si è impegnato molto per affrontare concretamente la sfida dei cambiamenti climatici e ha affermato “Siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa”.

Il primo vero accordo era stato firmato a Kyoto nel 1997, entrato in vigore nel 2005 dopo la ratifica della Russia e del Canada: gli Stati Uniti, tra i principali paesi responsabili delle emissioni di Co2, non hanno mai aderito al protocollo e paesi come Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo, responsabili del 40% delle emissioni di gas serra, erano stati “esonerati” dal rispetto dell’accordo perché non colpevoli di aver fatto aumentare le temperature durante il periodo di industrializzazione.

Da allora il problema è peggiorato: nell’aprile del 1995 la concentrazione di diossido di carbonio presente nell’aria era di 363.23 parti per milione. Lo scorso mese la cifra era di 398.29, poco meno del limite definito accettabile di 400 ppm.

In più, fa notare il Washington Post, le ultime due conferenze sul clima si sono svolte in mesi molto più caldi rispetto agli stessi mesi nel XX secolo: la temperatura media continua ad aumentare e il 2015 è l’anno più caldo mai registrato nella storia.

Ecco perché Parigi è così importante ed è probabile che sarà un successo: la maggior parte dei paesi ha inviato promesse per limitare l’inquinamento. L’Unione Europea si è impegnata a ridurre del 40% le sue emissioni rispetto al 1990 entro il 2030. In Cina le emissioni dovrebbero raggiungere il loro massimo entro il 2030, mentre gli Stati Uniti hanno promesso di ridurre le emissioni del 26-28% rispetto ai livelli del 2005, raggiungendo questo obiettivo entro il 2025, mentre il 2050 è l’anno entro cui i paesi del G7 si sono impegnati a ridurre del 70% le loro emissioni rispetto al 2010.

Cosa chiedono i paesi in via di sviluppo

A Parigi i paesi in via di sviluppo chiedono però di investire non solo nella riduzione delle emissioni, ma anche nuove garanzie per ricevere incentivi e finanziamenti per le loro politiche energetiche pulite. E investimenti per aiutare i paesi africani ad affrontare le sfide dei cambiamenti climatici, dove l’aumento delle temperature portano all'estremizzazione di fenomeni come siccità e alluvioni, mettendo a rischio la vita di migliaia di persone, in particolare i bambini.

“La preoccupazione della società civile e dei paesi industrializzati è che le negoziazioni si siano focalizzate solo sul costruire istituzioni e comitati piuttosto che sul provvedere mezzi finanziari e tecnologia che potrebbero assistere i paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze del riscaldamento globale”, ha detto Mithika Mwenda, coordinatore del gruppo Pan African Climate Justice Alliance (PACJA).

Per ora gli sforzi dei paesi donatori si sono concentrati in progetti per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, interventi cioè per ridurre le fonti e le emissioni o potenziare l’assorbimento dei gas ad effetto serra. Minori sono stati gli sforzi per quanto riguarda l’adattamento, iniziative e misure per ridurre la vulnerabilità dei sistemi naturali e umani contro gli effetti dei cambiamenti climatici attuali o previsti.


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