Welfare & Lavoro

Cancerogeno o no? Uno studio Airc sull’olio di palma

Airc pubblica un interessante approfondimento sull'ingrediente più dibattuto dell'anno. Ecco i pregi (pochi) e i difetti (tanti, ma meno di quanto si legge in giro) di un grasso che comunque l'industria alimentare usa sempre di meno. E che non ci sono ragioni sufficienti per eliminare del tutto

di Gabriella Meroni

Olio di palma sì, olio di palma no: il dibattito sui media internazionali degli ultimi mesi ha visto al centro questo grasso vegetale, considerato da alcuni un veleno e da altri un utile ingrediente che non fa male alla salute. Airc, l’Associazione Italia per la Ricerca sul Cancro, ha voluto fare chiarezza sui rischi per l’uomo dell’olio di palma, pubblicando un’utile guida di cui riassumiamo qui i concetti principali. La storia dell'olio di palma – nota innanzitutto l’associazione – è un buon esempio di quanto sia complesso valutare se un alimento è salutare o meno quando si considera l'insieme dei fattori in gioco e non solo un aspetto. Sicuramente non è il grasso più salubre che esista, ma nemmeno il peggiore: prima di bandirlo bisogna verificare con che cosa lo si sostituirebbe.

Molti prodotti che mostrano sulla confezione la scritta "senza olio di palma" contengono infatti olio di cocco o burro di cacao, che sono altrettanto nocivi di quello di palma per altri aspetti che non sono legati direttamente allo sviluppo di tumori. Sicuramente c’è da dire che l'olio di palma e quello di palmisto contengono elevate quantità di acidi grassi saturi, pericolosi per la salute di arterie e cuore. Uno studio recente pubblicato dall'EFSA, l’Autorità alimentare europea, ha segnalato anche che a temperature superiori ai 200 °C questi olii sviluppano sostanze che, ad alte concentrazioni, sono genotossiche, ovvero possono mutare il patrimonio genetico delle cellule (e quindi potenzialmente cancerogene); perché tali sostanze si formino, però, è necessario che gli olii siano trattati a temperature superiori ai 200 °C, che sono più alte di quelle che sono raggiunte di norma nei processi di lavorazione dell'industria dolciaria. Molto più pericolose sono, per esempio. le fritture casalinghe che utilizzano grassi vegetali come per esempio l’olio di mais, arachidi, colza, girasole eccetera.

Ma se comunque l’olio di palma non è salubre, come mai l'Efsa non ne chiede il bando? Secondo Airc, l’olio di palma è permesso perché è difficile che concentrazioni pericolose siano raggiunte con la normale alimentazione; inoltre nello stesso studio dell’Efsa citato in precedenza si nota che negli ultimi anni il contenuto di queste sostanze nei prodotti industriali è drasticamente diminuito, poiché le industrie hanno modificato i propri processi produttivi. Inoltre bisogna sottolineare che sono moltissime in natura le sostanze potenzialmente cancerogene ad alte concentrazioni, anche nell'alimentazione. Il rischio è legato alla frequenza e quantità delle consumazioni: non è mai pari a zero, ma per un consumo normale non è neppure molto elevato, e rientra in quello che gli epidemiologi considerano il rischio generale legato all'ambiente esterno e agli stili di vita. Altro discorso è quello ambientale: sicuramente questa coltura, confrontata con la sostenibilità delle colture alternative, non è a basso impatto; anche il cocco e il cacao (possibili sostitutivi) sono però considerati a rischio perché per coltivarli le popolazioni locali abbandonano altre produzioni più utili all'alimentazione o più ecologiche.

Che fare dunque, con questo benedetto olio di palma? Airc è sicura che la strategia più ragionevole, a livello individuale, sia quella di variare le proprie fonti alimentari, evitando di abusare di prodotti con olio di palma senza però demonizzarli o indire crociate non sempre sostenute da sufficienti motivazioni scientifiche, soprattutto se si guarda al problema nella sua interezza e non solo nei dettagli.


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