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Migranti: dall’accoglienza all’inclusione nell’Europa dei diritti

Accogliere non basta. Ogni morte è uno schiaffo all'Europa e alle sue democrazie. Ma salvare vite significa offrir loro anche possibilità concrete di futuro: perché i migranti sono nostri fratelli, non numeri. Lo spiega in questo suo intervento Monsignor Nunzio Galantino, Segretario generale della CEI

di Nunzio Galantino

Vorrei condividere con voi un’immagine legata al tema del nostro incontro diversa da quelle più consuete; non una scena troppo spesso solo di difficoltà, tristezza e a volte tragedia, ma la rappresentazione viva e visibile di entusiasmo, pace e speranza delle centinaia di studenti italiani ed europei ieri riuniti per discutere di diritti umani a Lampedusa proprio nella giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione.

Un simbolo della vera sfida che i fenomeni migratori oggi ci pongono; quella della necessità di un ruolo maggiormente incisivo di un’Europa invece purtroppo molto debole e cieca che consente di continuare ad ergere muri e, insieme, quella dell’integrazione perché accogliere –nonostante l’Italia lo faccia anche piuttosto bene- non basta; non si possono salvare le persone e poi non offrirgli una possibilità di futuro.

Le morti commemorate ieri a Lampedusa sono uno schiaffo alla democrazia europea, incapace di salvaguardare e proteggere persone in fuga da situazioni drammatiche create anche dalla politica estera e da scelte economiche europee. Non saranno i muri o le politiche di chiusura a fermare l'onda costante degli arrivi.

Oltre i muri, la speranza

Noi dobbiamo impedire che il Mediterraneo continui ad essere "cimitero dei migranti", così come lo ha definito Papa Francesco. Dobbiamo imparare a vedere "Dio nei migranti che tutti vogliono cacciare”. Una volta salvati in mare e accolti nei nostri Paesi dobbiamo garantire poi l'integrazione di queste persone.

Di fronte a noi abbiamo un unico orizzonte con tre strade imprescindibili da percorrere:

  1. lavorare per risolvere le ragioni economiche e politiche che determinano le partenze e quindi creare situazioni positive nei luoghi di provenienza attraverso la cooperazione internazionale; Guardo in questo momento con buone aspettative al “Migration Compact” di cui tanto si è parlato proprio in questi ultimi giorni e mi permetto di evidenziare –in ques’ottica- le belle esperienze di cooperazione internazionale della Chiesa forte di 40 anni di progetti e microrealizzazioni di Caritas Italiana e della FOCSIV, con 12000 operatori, volontari e missionari nei Paesi più poveri del mondo.
  2. trovare il modo di convivere con chi è già arrivato o sta arrivando;
  3. avere il coraggio di creare un sistema mondiale ed europeo di corridoi umanitari – già possibile sul piano giuridico – verso i Paesi disponibili all’accoglienza evitando solo così la crescita di una tratta di esseri umani oggi gestita da mafie e terrorismo. I muri che in parte dell'Europa si stanno continuando ad alzare non fermeranno chi è intenzionato a fuggire. Si cercheranno altre strade, rafforzando in questo modo i trafficanti di uomini.

Inquadrare il fenomeno per capirlo

Quando parliamo di immigrazione dobbiamo, però, necessariamente inquadrare il fenomeno. E sono i numeri a parlare. Numeri in costante aggiornamento. Prendiamo, per esempio la particolare categoria dei rifugiati: a fine 2015 erano più di 16 milioni in tutto il mondo, con un aumento del 12 per cento rispetto all'anno precedente. Ma sfatiamo anche un mito: nessuno stato europeo è nella top ten dei principali paesi di accoglienza nonostante la nostra Europa accolga circa 52 milioni di immigrati comunitari e non comunitari, con un tasso di crescita in costante aumento. Al di là e oltre percezioni soggettive turbate da fattori estranei al fenomeno reale l'impatto di immigrati e rifugiati rispetto alla popolazione è in realtà davvero molto basso. Pensate che solo nei primi due paesi europei per tasso di accoglienza: la Svezia e Malta, il rapporto si ferma a 16-17 immigrati ogni mille abitanti. In pratica, parliamo, degli unici due Paesi in cui i rifugiati superano l'1% della popolazione perché Malta è notoriamente terra di sbarco, mentre la Svezia è considerata una meta ideale perché predilige l'asilo politico come strumento di accoglienza. Ma, lo ripeto, stiamo parlando appena di un impatto dell'1%, mentre l'Italia è agli ultimi posti in Europa per incidenza dei rifugiati sulla popolazione con un tasso di 1,9 ogni mille abitanti e un tasso del 3 per cento di richiedenti asilo. C'è da dire, allo stesso tempo, che il numero di rifugiati è in costante aumento ovunque. In Italia si registra una crescita di presenze pari al 26% con un +30% di richieste di asilo politico solo nel 2015. Oggi sono accolti in Italia circa 160 mila tra richiedenti asilo e rifugiati di cui 30 mila nelle strutture ecclesiali. Forse possiamo e dobbiamo fare tutti di più!

Ma, dato questo contesto “particolare”, vorrei far riflettere anche su altri numeri, che smentiscono chi pensa all'immigrazione come ad un fenomeno in grado di danneggiare la nostra economia e il nostro mercato del lavoro. Il Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes 2014 aveva raccontato una realtà diversa, dove i migranti diventano, al contrario, "attori di sviluppo". Dall'esperienza maturata in tanti anni di servizio, la Chiesa Italiana attraverso Caritas e Migrantes, infatti, invita a invertire la prospettiva raccontando un'Italia dove, chi resta e ha la possibilità di integrarsi, diventa invece un nuovo cittadino che contribuisce a sua volta a sostenere il Paese purtroppo ancora in difficoltà dal punto di vista economico e culturale. In questa prospettiva va letta la crescita del numero di ‘nuovi cittadini’ – Nel 2015 178mila cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana -, come anche l’apporto importante di oltre 800.000 studenti nelle nostre scuole, che hanno permesso di salvare, soprattutto nei piccoli centri 3000 classi e 35.000 posti di lavoro degli insegnanti. Inoltre, non si può parlare di sviluppo per l'Italia senza fare i conti con i dati drammatici che riguardano le nascite. I migranti, divenuti ormai parte integrante e strutturale dei territori, dal punto di vista demografico, economico e culturale, rappresentano senza meno una risorsa per un Paese altrimenti destinato a spegnersi inesorabilmente (+ 60 mila decessi nell'ultimo anno). Mentre ormai il 19% delle nascite avviene in una famiglia e in una coppia di persone immigrate. Sono oltre un milione e 100 mila i minori immigrati, di cui 650 mila quelli nati in Italia.

Per quanto riguarda l'aspetto culturale, inoltre, il mondo dell'immigrazione – Come ha ricordato il Rapporto immigrazione di Caritas Italiana e della fondazione Migrantes del 2015 dedicato alla ‘cultura dell’incontro’ – ha regalato al nostro Paese una ricchezza interculturale positiva che genera conoscenza, scambio e crescita per tutti noi. Non solo lavoratori e imprenditori , dunque,ma gli immigrati sono anche costruttori di un nuovo sistema culturale, meglio, interculturale.

Fratelli, non numeri

Non commettiamo allora l'errore di guardare a questi nostri fratelli esclusivamente come numeri, sebbene per qualcuno è solo di questo che si sta parlando. Neppure parliamo solo di lavoratori, quasi piegando l’immigrazione solo a un funzionalismo economico. Dovremmo piuttosto tutti imparare a parlare di "mobilità umana" e non di immigrazione riferendoci a queste persone, a questi nostri fratelli, come una dimensione della rigenerazione del nostro Paese.. L'emigrazione è solo un aspetto della loro vita che è piena di progetti personali e familiari, attese per il loro futuro e per quello dei loro figli. Dietro i migranti ci sono storie e insegnamenti di cui tutti dovremmo beneficiare, per la nostra crescita umana e anche spirituale.

Anche guardando al mondo delle persone in fuga, ai 450.000 sbarcati sulle nostre coste nel triennio 2014-2016, non possiamo dimenticare che "I rifugiati sono persone come tutti, ma alle quali la guerra ha tolto casa, lavoro, parenti, amici – ha detto Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato promossa il 20 giugno dall'ONU – Le loro storie e i loro volti ci chiamano a rinnovare l'impegno per costruire la pace nella giustizia. Per questo dobbiamo stare con loro: incontrarli, accoglierli, ascoltarli, per diventare insieme artigiani di pace secondo la volontà di Dio".

Non illudiamoci, però –lo ripeto ancora- non possiamo pensare di realizzare questo disegno con la sola accoglienza. La vera frontiera oggi è la completa integrazione. Per questo in Italia emerge la necessità di una legge specifica proprio sull'integrazione. Magari puntando sulla valorizzazione delle competenze degli immigrati: molti di loro quando arrivano nel nostro Paese sono laureati, tecnici, professionisti in molti settori. Estremamente bella e apprezzabile è stata, ad esempio, l’estensione da parte del nostro Governo del bonus cultura anche ai diciottenni immigrati, come l’iniziativa del Ministero dell’ Interno di istituire borse di studio per rifugiati nelle nostre Università.

L’Italia, però, indubbiamente, da sola non ha la forza di rispondere efficacemente a questa sfida davvero troppo grande. Mentre noi siamo al lavoro sul fronte dell'emergenza in mare, con lo straordinario lavoro svolto dalle nostre forze dell'ordine per salvare i migranti, e con proposte concrete per la gestione dell'emergenza dall'altro lato arrivano da Strasburgo risposte troppo tiepide e non definitive. Serve con urgenza una strategia di sistema che coinvolga tutti i Paesi europei sotto un’unica regia impegnata nel trovare soluzioni condivise e durature rispetto ad un problema che diventa ogni giorno più stringente.

Occasioni come quella di oggi – per cui ringrazio l’invito della segretaria Furlan – avranno lasciato un segno se saranno state utili per tutti noi a fare un passo avanti nel superamento di ciò che prima di tutto uccide il nostro essere persone: l’indifferenza.

L’indifferenza, prima di tutto, prima di ogni legge o attività di qualsiasi soggetto, impedisce la nostra apertura verso un’altra persona, la nostra capacità di commuoverci alla vista della sofferenza umana, il lasciarci coinvolgere dal destino altrui, la nostra capacità di piangere con chi sta piangendo, la nostra disponibilità a venire incontro alla persona addolorata per sollevare le sue angosce e asciugare le sue lacrime. Solo se diventeremo capaci, tutti, di guardare al fenomeno immigratorio liberandolo da deformanti e disinformate equazioni saremo davvero in grado di guardare e agire la storia e la nostra contemporaneità a partire dalla prospettiva di “quelli che non ce la fanno”. È questa la sfida più importante che deve interrogare oggi ciascuno di noi.

Intervento tenuto a Roma – CISL, il 4 Ottobre 2016


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