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Cooperazione & Relazioni internazionali

La porta aperta di Laura e Paolo

Vivono a Monterotondo, in provincia di Roma. Hanno due figli e hanno deciso di affittare l’appartamento sotto il loro per metterlo a disposizione di una famiglia di immigrati. Attraverso l’organizzazione Refugees Welcome il progetto è diventato realtà. La loro testimonianza sul numero di VITA in edicola

di Laura e Paolo

Siamo Laura e Paolo e viviamo con i nostri due figli di tre e sei anni a Monterotondo in provincia di Roma. Erano diversi mesi che cercavamo un modo per dare una risposta concreta al dramma dei migranti in viaggio verso l’Europa e sperimentare un modello alternativo di accoglienza, basato sullo scambio reciproco e sul sostegno pratico e morale. Lo desideravamo per noi, ma anche per i nostri figli, per fargli vivere un’esperienza interculturale e dimostrare loro che un’altra via, più umana e rispettosa dell’altro, è possibile.

Poi si è liberata la casa sotto la nostra e abbiamo deciso di prenderla in affitto per metterla a disposizione di un progetto di integrazione per rifugiati. Abbiamo bussato a diverse porte prima di arrivare a Refugees Welcome Italia, che ci ha aperto con entusiasmo e convinzione.

Il primo contatto con la famiglia è stato molto positivo. I genitori ed i loro due figli sono venuti a conoscerci a fine luglio ed è scattato subito un rapporto di amicizia e fiducia, tanto tra gli adulti quanto tra i bambini che hanno passato la serata a giocare insieme come se si conoscessero da sempre. Già dopo questo primo incontro non avevamo dubbi; se loro avessero accettato la nostra offerta di ospitalità a Monterotondo noi saremmo stati più che lieti di accoglierli.

I genitori provengono dal Burkina Faso e hanno avuto asilo politico in Italia nel 2008. I figli sono nati entrambi in Italia e sono cresciuti tra centri di accoglienza per rifugiati a Roma e, negli ultimi anni, una casa occupata che la famiglia condivideva con altre 300 famiglie in condizioni di grande disagio e precarietà.

La mancanza di un posto da poter chiamare ‘casa’ era stato per la famiglia infatti uno dei maggiori ostacoli alla conquista di una piena autonomia; i genitori, entrambi laureati nel loro Paese, erano già molto integrati in Italia, parlavano correntemente e erano impegnati da sempre in tirocini e esperienze lavorative il cui esito però era stato fortemente compromesso dalla pressione psicologica dovuta alla precarietà abitativa, nonché da problemi logistici ed organizzativi dovuti alla stessa.

L’avere una casa propria ha restituito alla famiglia libertà e serenità, le precondizioni necessarie per intraprendere un percorso di integrazione stabile sul territorio. Inoltre, i bambini hanno trovato nei nostri figli quasi coetanei due compagni di gioco entusiasti e affettuosi. Le due case sono divise da una sola rampa di scale e già nei primi giorni di convivenza lo scambio è stato continuo.

Inoltre, c’è stata una tanta desiderata quanto insperata presa in carico della famiglia da parte della comunità in senso lato, con gli amici di una ONLUS locale che hanno provveduto ad arredare di sorpresa la loro casa mentre stavamo fuori in vacanza; e tante altre persone che si sono adoperate per offrire beni, informazioni e assistenza. La famiglia si è trasferita a Monterotondo dopo l’estate. Non ci scorderemo mai l’emozione di quando sono scesi dal pullman, i bambini vestiti a festa, con in mano poche borse e un barattolo di pesche sciroppate vuoto a metà. Ridendo allegramente, ci hanno detto che avevano sbagliato treno ed erano finiti a Fiumicino. Sono arrivati stanchi e affamati, ma contenti.

Così come non ci scorderemo mai le emozioni dei primi giorni di ospitalità: l’orgoglio con cui la mamma ci mostrava la loro casa sistemata; il disappunto dei bambini per l’ennesima uscita con i genitori a fare compere perché desideravano restare nella loro nuova camera a giocare con i giocattoli portati da un nostro amico; l’incredulità con la quale la mamma commentava la quiete dentro casa (ci ha spiegato che nella casa occupata a Roma c’era stata sempre molta confusione) e il fatto di aver sentito per la prima volta il tintinnio delle posate contro i piatti mentre mangiavano.

Poi ci sono stati i tanti momenti di scambio quotidiano: i caffè presi sulla passeggiata di Monterotondo mentre i bambini giocano insieme al parco; il ritrovarsi tutti insieme a spegnere le candeline per il compleanno di turno; la gita in campagna a trovare un altro nostro amico che ora è diventato anche loro. Dopo quest’ultima esperienza la mamma ha mandato un messaggio di ringraziamento che ci ha fatto capire il significato profondo di ciò che stiamo facendo insieme. “Grazie della bellissima giornata,” ha scritto. “I bambini si sono divertiti e anche noi, stiamo ritrovando l’anima e stiamo rientrando nel mondo normale.”

Infine ci sono le tante cose che abbiamo ricevuto e imparato noi da quest’esperienza, prima fra tutte l’importanza di mettere da parte le nostre aspettative per poter accogliere e rispondere alle vere esigenze dell’altro. Troppo spesso i programmi di cosiddetta accoglienza e integrazione per migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono pensati e costruiti in base a dei preconcetti o, peggio, alle esigenze della comunità ospitante, senza badare troppo ai bisogni reali di chi viene accolto. Che poi spesso si possono assumere in una sola parola: libertà.


Nella foto di copertina una delle famiglie coinvolte nel progetto di Refugees Welcome Italia


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