Attivismo civico & Terzo settore

Così accompagniamo i ragazzi che hanno “bruciato la frontiera”

In arabo per indicare chi viaggia senza documenti e rischia tutto, migrando, si dice "ha bruciato la frontiera". Il progetto “Ragazzi Harraga” del Ciai - fra gli otto vincitori dal bando “Never Alone” - accompagnerà all'autonomia, nei prossimi tre anni, 400 minori non accompagnati. A Palermo nascerà anche struttura metà casa e metà ostello, in cui i giovani potranno lavorare.

di Sara De Carli

Rashid ha 17 anni, viene dal Bangladesh. Ha lasciato il suo villaggio nell’aprile 2015, spinto dal padre anziano e gravemente malato, consapevole di non essere più in grado di provvedere alla famiglia: oltre a Rashid in casa ci sono tre sorelle e tre fratelli, di cui uno malato. L’aereo di Rashid si è fermato in Giordania, per quattro mesi poi ha vissuto in Libia, lavorando come addetto alle pulizie: non ha ricevuto un soldo per quei quattro mesi di lavoro e anzi, quando ha chiesto ciò che gli spettava, gli hanno rotto un braccio. In Libia si è fermato il passaporto di Rashid, ma non la sua voglia di dare un futuro ai suoi fratelli: si imbarca per l’Italia e nell’agosto 2015 arriva a Pozzallo, in Sicilia. Rashid è uno dei ragazzi che partecipa al progetto “Ragazzi Harraga” del Ciai. Questo progetto è fra gli otto selezionati dal bando “Never Alone”, tramite cui otto fondazioni bancarie hanno messo a disposizione 3,5 milioni di euro per sostenere l’accoglienza e l’accompagnamento dei minori stranieri non accompagnati (MSNA).
«Ci stiamo lavorando già da un anno, con i partner del territorio: abbiamo già fatto qualche piccola azione, ma l’operatività vera inizia adesso, grazie al bando», spiega Francesca Silva, direttore territoriale Italia di Ciai. L’obiettivo? «Sperimentare un modello di inclusione possibile. È possibile, basta mettere in sinergia le forze necessarie. Si parla tanto di minori stranieri non accompagnati come emergenza, invece la loro accoglienza è un’opportunità: hanno tanto da dimostrare, bisogna solo dare loro l’opportunità di farlo». Rachid per esempio sta studiando: ha raggiunto un discreto livello di Italiano e ha già conseguito la licenza media. Quando può, aiuta un amico che gestisce un negozio di alimentari, ricevendo una piccola ricompensa economica: mette da parte tutto quello che riesce e manda i soldi in Bangladesh, alla sua famiglia.

“Ragazzi Harraga” si rivolge a ragazzi come Rashid, Ismaila, Amir. Harraga è la parola che in dialetto marocchino indica quanti viaggiano senza documenti, proprio come Rashid. È un termine che viene dalla parola araba haraqa, che significa bruciare. Insomma, in arabo per indicare chi rischia tutto, migrando, si dice che ha "bruciato la frontiera". Come questi ragazzini – 25.772 quelli arrivati in Italia nel 2016, il numero più alto di sempre – vicini alla maggiore età, in Italia da soli, prossimi all'uscita dalla prima accoglienza. Il focus del progetto – che si svolge a Palermo, ha una durata di tre anni e punta a coinvolgere complessivamente 400 MSNA – è lo sviluppo di un percorso di inclusione e di affiancamento dei ragazzi verso l’autonomia: dopo la prima accoglienza, dopo quel discrimine dei 18 anni al di là del quale i ragazzi si ritrovano comunque soli, senza tutele e senza servizi. «La prima cosa è la costruzione di una rete di partner, dove c’è chi si occupa di accoglienza, chi di percorsi di orientamento e inserimento lavorativo, chi di percorsi educativi, chi di istruzione. Queste competenze diversificate ci hanno consentito di avere una visione unitaria ma dettagliata dei ragazzi, dei loro percorsi e delle difficoltà che incontrano, ma anche delle loro potenzialità, valorizzando le competenze che hanno o che possono maturare», spiega Silva.

Il progetto – con il Ciai in campo ci sono l’Assessorato alla Cittadinanza Sociale del Comune di Palermo, Associazione Santa Chiara, CESIE, la Cooperativa Sociale Libera…Mente, CPIA Palermo 1, Libera Palermo, Nottedoro e Send – ha costruito un modello di inclusione che in tre step risponde a tre esigenze di questi ragazzi soli: sociale, lavorativa, abitativa. Al bisogno di inclusione sociale si risponde con un accompagnamento trasversale, fatto di propste ricreative, educative, laboratoriali, sportive e aggregative, tutto per «rafforzare e sviluppare le competenze di questi ragazzi, in particolare le soft skills», spiega Silva. Il secondo step sono dei veri e propri tirocini in azienda, accompagnati da un percorso di orientamento lavorativo più mirato, sia individuale che di gruppo: «Pensiamo a un centinaio di tirocini, mettendoci in rete con le aziende del territorio. È un’esperienza già avviata, seppur con piccolissimi numeri, per il momento il riscontro da parte delle aziende è molto buono». L’ultimo tassello del puzzle è l’abitare: poiché questi ragazzi all’uscita dalle comunità hanno difficoltà a trovare soluzioni abitative sostenibili, l’idea di "Ragazzi Harriga" è quella di mettere in piedi una struttura che li possa accogliere per un periodo limitato, che sia allo stesso tempo un’occasione di sostenibilità: «Abbiamo individuato una struttura nel quartiere Ballarò, nella parrocchia Santa Chiara, che tramite la sua associazione è uno partner del progetto. Una parte della struttura diventerà la casa di questi ragazzi, l’altra un ostello per giovani, in cui gli stessi ragazzi potranno lavorare».

Loro non aspettano altro. Su un cartoncino rosso, al laboratorio di orientamento, un ragazzino di 15 anni che viene dal Gambia ha scritto che più di ogni altra cosa vuole lavorare. Si chiama Amir, vive in Italia da quasi un anno, ha già imparato bene l’italiano, ha ottenuto il diploma di licenza media e il permesso di soggiorno. In Gambia studiava per fare l'insegnante, ma adesso ha cambiato idea, vuole essere autonomo prima possibile, magari imparando a fare il meccanico: vuole lavorare «per essere umano e per avere un buon futuro. Per decidere quello che vuoi fare, per costruire una famiglia, cosa mangiare, il vestito, la macchina, viaggiare. È una cosa fondamentale per ogni essere umano, ovunque».

Foto Studio14 / Ciai


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