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Don Milani? «Era un prete di cappa e spada», parola di Giulio Andreotti

Nel gennaio del 2000, Vita intervistò il senatore Giulio Andreotti su don Milani. «Non dobbiamo mai dimenticare», spiegava Andreotti, «che don Milani restò per tutta la vita un prete. Voler far passare don Milani per un laicista sarebbe offendere la sua memoria»

di Marco Dotti

Correva l'anno 2000 e Walter Veltroni, segretario degli allora Democratici di Sinistra (DS), annunciava di voler celebrare al Lingotto la figura e il pensiero di don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana. Fu subito polemica per quel motto I care che, trasposto in un congresso politico, a molti sembrò appropriazione indebita.

I care è un motto per chi fa opposizione, scriveva su vita del 21 gennaio 2000 Franco Gesualdi, che di don Milani fu allievo. Un motto «che si addice a chi si batte contro le tirannie e il potere, fa impressione sapere che sia stato scelto da un partito di governo che ha in mano tutte le leve del potere». Ma oltre al commento di Gesualdi, il 21 gennaio 2000 Vita pubblicava un'intervista – a firma di Walter Mariotti – a Giulio Andreotti, che commentava la scelta di Veltroni.

Se il modernismo voleva spingere la Chiesa nel senso della modernità – spiegava Andreotti – «don Milani al contrario interpretava piuttosto un cattolicesimo delle origini, ortodosso e preconciliare, legato soprattutto alla parola del Vecchio Testamento».

Don Milani, per il senatore Andreotti, «fu letto come una grande avanguardia, e certamente dell'avanguardia aveva il passo svelto, era decisamente un prete di cappa e spada. Ma non dobbiamo mai dimenticare che restò per tutta la vita un prete, cosa a cui teneva di più ogni altra. Non si può quindi prendere semplicemente le sue parole se non all'interno della complessità del suo messaggio, che dunque va epurato di tutto quello che poteva essere il piano dell'immediatezza, della lettura politica».

«Don Milani e quei limiti da non calpestare»

L'importanza del personaggio risaltava, per Andreotti, per «la sua vicinanza al popolo, agli esclusi, agli abbandonati. La sua capacità di parlarci, di intenderlo e di farsi intendere, annullando distanze e smussando asperità. (…) Con don Milani vanno fatte delle distinzioni, non è possibile prenderlo in blocco o giudicarlo esclusivamente dalle suggestioni del suo motto. Don Milani era un personaggio sanguigno, avanti rispetto ai tempi nei suoi rapporti con il popolo e le problematiche popolari, ma per certi altri versi era rigoroso, fedele all'ortodossia più intransigente, ad un cattolicesimo integrale. Sapeva – e su questo concordo pienamente – che la modernità ha enormi spazi, che il riformismo può e deve espandersi, ma che ci sono sempre dei limiti da non superare, dei principi da non calpestare. Quei principi sono e fanno la vera differenza. I confini della vita, per esempio: don Lorenzo sapeva bene dove arrivavano».

Don Milani e la bioetica

Don Milani, spiegava Andreotti, «sapeva che in alcuni ambiti non c'erano possibilità di mediazione. Io stesso ho vissuto momenti difficili durante la votazione sull'aborto, per esempio, quando fui criticato da alcuni amici per non essermi ritirato. Avrebbe potuto farlo? Certo, avrei potuto fare come il re del Belgio, che si ritirò, per rientrare comunque il giorno successivo. Avrei potuto assentarmi per malattia, delegando tutto agli altri. Se non fossero stati i tempi delle Brigate rosse, che mettevano a rischio il paese, lo avrei fatto».

L'obiezione di coscienza

I rapporti con don Milani, spiegava il senatore all'attento Walter Mariotti, furono «improntati alla massima stima e al più grande rispetto, come del resto con tutti i canonici fiorentini che vedevo più spesso di lui». Da una lettera inedita [lettera che Vita pubblicò in esclusiva e che potere leggere qui a lato, ndr], sembrerebbe che Andreotti condividesse certe posizioni di don Milani sull'obiezione di coscienza.

Non solo, «mi impegnai – racconta Andreotti – a presentare una legge, anche se ricordo di aver incontrato in quella occasione non don Milani ma padre Balducci. Entrambi ebbero delle grane penali perché non mi ascoltarono: il principio infatti era facilmente accettabile, come poi fu dimostrato, ma io avevo suggerito di non andare al'?attacco, di non trattare i cappellani come militari. Non si doveva creare lo scontro tra cappellani militari e obiettori insomma.

Fu sempre un prete

Don Milani e figure analoghe alla sua, suggeriva il senatore a vita, «devono sempre essere interpretate nel contesto, nel complesso della loro portata. In generale poi io sono sempre diffidente delle interpretazioni politiche, che consistono nel prendere una parte di un insegnamento dimenticando tutto il resto: non solo non è corretto farlo, ma non funziona. Credo che voler far passare don Milani per un laicista sarebbe offendere la sua memoria».

La figura di don Milani sarà al centro di un dibattito che si terrà domani, 22 aprile, alle h 15 alla Chiesa della Madonna del Buon Consiglio, a Castenaso (Bologna). Interverranno Pietro Piro, Federico Ruozzi, Francescomaria Tedesco, Marco Dotti, Domenico Cambararei, accompagnati dalle letture di Gabriele Via


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