Attivismo civico & Terzo settore

Cosa si nasconde dietro il boom dell’azzardo legale

Il boom del giocato può essere solo addebitato alla leggerissima crescita del Pil o all'aumento dei ludopatici? A incrociare i numeri sembrerebbe proprio di no. E allora sullo sfondo si fanno largo altre ipotesi più verosimili. Prima fra tutte quella del lavaggio del denaro sporco

di Redazione

Che il gioco d’azzardo rappresenti una emergenza sociale e sanitaria è oramai assodato. Ma la dimensione economica e la sua dinamica suggeriscono che c’è qualcosa di più. E la questione socio-sanitaria rischia quasi di diventare un diversivo, un modo per deviare la vera domanda che la dimensione economica dell’azzardo in Italia dovrebbe invece suggerire. La domanda è: a chi e a cosa serve veramente la legalizzazione del gioco d’azzardo in Italia? Lo scorso anno il giro d’affari legato al gioco d’azzardo ha raggiunto la cifra record di 95 miliardi di euro, registrando un balzo dell’8% rispetto agli 88 miliardi spesi nel 2015. Questo è accaduto dopo anni di stasi nelle somme giocate e nonostante gli sforzi del Governo Renzi e di molte Regioni di bloccare la diffusione delle slot machine sul territorio nazionale.


Sono stati davvero i ludopatici a spendere di più?

Il 2016, come abbiamo potuto vedere dal dato del PIL (+0,9%), è stato effettivamente un anno di svolta nella lunga recessione che ha colpito l’Italia dopo la crisi dello spread. Quindi, i ludopatici, come tutti gli italiani, potrebbero essersi trovati in tasca qualche euro in più da spendere. Ma é assolutamente implausibile attribuire un tale aumento delle somme giocate da un anno all’altro all’aumento del reddito disponibile dei ludopatici o ad una recrudescenza della febbre da gioco. Se il riciclaggio di denaro sporco avvenisse invece grazie al gioco d’azzardo, il balzo sarebbe allora pienamente giustificato. Potremmo quasi considerarlo un buon segno per la ripresa economica italiana. Infatti, l’economia in nero è la più flessibile in assoluto. La prima a fermarsi, quando le cose vanno male. La prima a ripartire, quando invece le cose vanno bene. L’economia in nero ha bisogno di un posto dove poter ripulire il contante prima di immetterlo nel circuito bancario, dove i movimenti sono tutti tracciati. E le sale da gioco e le slot sono oramai tra i pochi luoghi rimasti in Italia dove le carte di credito non possono entrare e il contante regna sovrano. Se non si è particolarmente sfortunati, giocando alle slot si paga una tassa del 25%, che si riduce al 12,5% con le VLT, e il contante è ripulito (sostanzialmente punti 100 per riscuotere 75 per le slot e 87,5 euro pe rle Vlt). Il sospetto è che invece il gioco d’azzardo sia diventato uno dei modi più importanti con cui l’economia in nero si ricicla e si “sbianca”. Le indagini della magistratura d’altro canto aiutano ad intuire la forma del mostro che si nasconde nella nebbia. Ricordate Gastone, il cugino di Paperino? Pensavamo che esistesse solo nei fumetti un personaggio in grado di vincere ogni volta che gioca. E invece no. Le cronache giudiziare iniziano a riempirsi di casi di persone “fortunate”. Il consigliere di Virginia Raggi, il sig. Marra, ad esempio, sembra che avesse la mano d’oro e vincesse spesso scommesse sportive. Nulla di nuovo sotto il Sole si dirà. Da quando il governo cinese ha deciso di stringere i controlli sui funzionari corrotti, il giro d’affari di Macao (la Las Vegas d’Asia) è crollato. Anche il fatto che la magistratura documenti casi di cosche mafiose e di ndrangheta che diversificano nel business del gioco legale non rappresenta nè una novità storica né una peculiarità italiana. La filmografia americana ha attinto a piene mani all’epopea della mafia italo-americana all’assalto di Las Vegas.

Quei numeri segretati

Eppure noi in Italia siamo costretti a sentire la storiella che dobbiamo ringraziare la “legalizzazione” del gioco d’azzardo, altrimenti adesso avremmo milioni di concittadini nelle grinfie dell’azzardo illegale. Come se un funzionario corrotto riuscisse a depositare in banca le cosiddette dazioni ambientali presentando come giustificativo la ricevuta di un allibratore della Magliana. Purtroppo, se rimaniamo fermi alla dimensione criminale del fenomeno, non riusciamo a fare passi avanti. Le inchieste della magistratura sono come lampi nella nebbia. Per diradare la nebbia ci vorrebbero i “dati” della spesa in gioco a livello di singola città, di singolo quartiere, di singolo bar. In questo modo la cittadinanza stessa, i sindaci potrebbero aiutare a comprendere la vera natura economica del fenomeno.

Limitandoci ad esempio ai dati provinciali è evidente che città popolose come Roma, Milano, Napoli svettano in cima alla classifica delle somme giocate. Ma se dividiamo le somme giocate alle macchinette per il numero di abitanti o ancora meglio per il reddito imponibile ai fini IRPEF (i dati sono forniti rispettivamente dall’ISTAT e dal Ministero dell’Economia), la classifica muta radicalmente ed in testa balza Prato con una percentuale di giocato pari al 16% del reddito imponibile (dichiarato), cioè circa 550 milioni di euro . E’ tutto frutto di ludopatia o c’è qualcos’altro? Per avere un termine di paragone a Pavia, che è stata per anni al centro delle analisi e dell’attenzione mediatica, tale percentuale è pari al 7% (cioè circa 600 milioni), mentre il dato medio nazionale è pari al 6,2% (pari a circa 26 miliardi). La differenza sembra imputibile più al peso dell’economia in nero che non ad una esplosione di ludopatici.

Se guardiamo alla Lombardia una città come Bergamo, oggetto di un’analisi a tappeto grazie alla sensibilità dell’Amministrazione Gori, presenta livelli di spesa in gioco d’azzardo decisamente preoccupanti. E’ vero che a Pavia (il ns “benchmark” della vergogna) si gioca mediamente di più a livello pro-capite, ma in rapporto al reddito Bergamo balza sopra (con oltre il 7,5%, pari a circa 1,2 miliardi di euro). Ma da questo punto di vista la provincia messa peggio in Lombardia è Sondrio con quasi il 10% del reddito imponibile IRPEF giocato alle macchinette (circa 230 milioni di euro). Volgendo lo sguardo ad altre realtà nazionali dove è presumibile un alto livello di economia in “nero”, si notano presenze anomale di esercizi abilitati al gioco d’azzardo. A Caserta, una delle capitali dell’agricoltura italiana, la percentuale di reddito imponibile giocato alle macchinette supera il 9%. Lo stesso accade per la provincia di Olbia-Tempio e quella di Salerno. Cosa hanno in comune, oltre ad ottimi frutti della terra? Una fiorente economia del turismo, dove è noto che la quota di “nero” è significativa. Ovviamente il “nero” non fa solo rima con agricoltura o turismo o imprenditoria cinese. Se guardiamo alla Lombardia, la provincia industriale per eccellenza, quella di Brescia, svetta sopra le medie nazionali con una percentuale di giocato sul reddito imponibile superiore all’8% (circa 1,4 miliardi di euro) .


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