Cooperazione & Relazioni internazionali

Magistratura, sport e politica: il dibattito tragicomico su migrazioni e razzismo

«La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza»: sono le parole impresse all'ingresso del Ministero della verità descritto da Orwell in "1984". Verità rovesciate che ritornano, in questi giorni, nei dibattiti sul razzismo: dal caso - o presunto tale - delle Ong, al calciatore Muntari

di Marco Ehlardo

La guerra è pace. La libertà è schiavitù. Lignoranza è forza. Sono i tre slogan presenti sulla facciata del Ministero della Verità dello Stato di Oceania, nel capolavoro di Orwell “1984”. Mi sono venuti in mente negli ultimi giorni, assistendo ad una serie di atti e di dichiarazioni sulle migrazioni e sul razzismo in cui sembra che il significato delle cose si sia ribaltato di 180 gradi.

Il primo episodio ha visto protagonisti un magistrato, un politico ed uno scrittore. Tutto parte dalle dichiarazioni del Procuratore di Catania Zuccaro che, di punto in bianco, rilascia una dichiarazione secondo cui alcune delle ONG impegnate a salvare migranti nel Mediterraneo sarebbero sospette, avrebbero contatti con i trafficanti di uomini in Libia e sarebbero addirittura finanziate da loro. Il tutto ammettendo, egli stesso, che non ci sarebbero prove concrete né indagini a carico di qualcuno.

Non contento, si spinge anche a dire che di migranti economici ne arrivano troppi. Si dimentica però, essendo uomo di legge, di ricordarci quale articolo del Codice Penale citerebbe il reato di “arrivareintroppi; e da quale numero in poi si diventerebbe in troppi e scatterebbe questo fantasioso reato.

A questo punto parte il dibattito del secolo. Faccio ammenda ed ammetto che non sapevo che Di Maio e Saviano fossero tra i massimi esperti di migrazioni al mondo. Probabilmente il senatore Razzi sarà un luminare della fisica quantistica e non so nemmeno quello.

Comunque, il vicepresidente della Camera, noto ai più per non sapere leggere le mail che gli arrivano, coglie l’occasione di fare concorrenza a Salvini e attacca le ONG e il mondo dell’accoglienza, dipingendolo come un covo di speculatori. Dunque, per lui chi salva vite umane andrebbe evidentemente incarcerato. A sto punto, per simmetria, agli assassini si dovrebbe dare una medaglia ed una vacanza premio alle Maldive.

E qual è la risposta che viene ripresa con enfasi da tutti i media? Quella di qualche esperto? Quella delle ONG? No: quella di uno scrittore, noto ai più per aver scritto di criminalità organizzata e poi divenuto tuttologo. Ma si sa, in questo Paese non conta quanto ne sai di un tema, ma come ti chiami e che ruolo hai, specie se politico o giornalista.

Chiariamoci: la mia non è affatto una posizione equidistante. Le affermazioni di Di Maio sono doppiamente gravi, per la sua carica istituzionale e perché prive di alcun riscontro. In più, lo stesso Di Maio cita Frontex, ossia l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, impegnata anche (se non soprattutto) nel contrasto dei flussi migratori. Che è un po’ come citare il Mossad per dire che i palestinesi sono criminali. Ed in più viene persino smentito dalla stessa Frontex.

E sono ovviamente d’accordo con la gran parte delle cose dette da Saviano, per quanto infarcite di alcune banalità, difetto tipico di chi non è proprio esperto del tema (ma d’altronde la tuttologia è l’arte di sapere tutto, ma molto poco di ogni cosa).

Dissento da lui, però, sull’affermazione che tutte le ONG, associazioni, cooperative siano il bene assoluto in quanto tali, che è poi l’errore opposto a quello fatto da Di Maio. Fermo restando che la gran parte lo sono, e che probabilmente lo sono tutte quelle “sospettate” dal procuratore di Catania, ricordiamoci sempre che il mettere la testa sotto la sabbia sui problemi di una parte del terzo settore ci ha portato dritti dritti a Mafia Capitale.

Ben venga, alla fine, che sia intervenuto per confutare le tesi di Zuccaro e Di Maio; ma avrei preferito che i giornali e le TV avessero dato più spazio ad opinioni più informate, sebbene dal minore appeal mediatico. In definitiva, comunque, questa storiella la potremmo riassumere con un nuovo slogan orwelliano, copyright Zuccaro/Di Maio: La solidarietà è rapina.

Il secondo sketch ha visto protagonisti un calciatore, un arbitro e di nuovo un giudice, stavolta sportivo. Durante la partita di calcio Cagliari-Pescara di domenica scorsa, un calciatore del Pescara, Sulley Muntari, ghanese, è fatto oggetto di buu razzisti da parte dei tifosi cagliaritani. Ad un certo punto chiede all’arbitro di sospendere la partita, come il regolamento prevede in questi casi. L’arbitro, per tutta risposta, lo ammonisce. Muntari, allora, decide di lasciare il campo per protesta e l’arbitro, non contento, gli commina una seconda ammonizione e dunque l’espulsione.

L’episodio fa un certo rumore, tanto che si muove persino l’alto commissario Onu per i diritti umani, che si schiera al fianco del calciatore ghanese. Arriva il martedì e, tra la sorpresa di tutti, il giudice sportivo squalifica Muntari per una partita, scagionando per giunta il Cagliari con la motivazione che i cori razzisti erano stati intonati da un numero limitato di sostenitori.

Anche qui mi verrebbe da chiedere al giudice sportivo due cose. La prima: ma perché, qualcuno si sarebbe messo davvero a contare uno ad uno quanti fossero i tifosi che intonavano i cori razzisti? La seconda: e quanto sarebbe il numero minimo di urlatori razzisti necessario perché una partita venga fermata?

Una vicenda paradossale, che continua a sottovalutare un fenomeno, quello del razzismo, sul quale in Italia c’è ancora una certa ritrosia ad ammetterne l’esistenza. Ed anche in questo caso la vittima (con tutti i limiti ed i distinguo della situazione, si tratta comunque di un ragazzo africano) diviene il colpevole.

Solo che, invece di un nuovo reato, stavolta si inventa una nuova attenuante, quella del “troppopochi. Direi che lo slogan orwelliano, stavolta da incidere a caratteri cubitali sulle mura dello stadio cagliaritano, potrebbe essere il seguente: Non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono neri!

Questi due episodi, molto differenti e certamente di gravità diversa, sono entrambi, però, sintomatici di due cose: che questo Paese non riesce mai a fare i conti con i propri errori, e che il tema migrazioni è trattato ancora in maniera ideologica, ignorante e superficiale, e sempre più spesso criminalizzato tout-court.

Ma, soprattutto, che ognuno strumentalizza questa vicenda a proprio vantaggio. Chi per qualche voto in più, chi per visibilità, chi per fare audience, chi per fare carriera e chi per interessi ignoti ed inquietanti.

Poco importa se sulla pelle (ahiloro nera) di esseri umani, o sul lavoro di tanti operatori. Vince sempre chi urla di più. E allora migranti, operatori, cittadini che ancora credono nei diritti umani: cominciamo ad urlare più forte di loro. Al massimo, se ci contesteranno qualcosa, potremo sempre giustificarci dicendo di essere, spero non per molto ancora, troppopochi.


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