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Cooperazione & Relazioni internazionali

L’immigrazione si racconta al telefono

Si chiama “Once Upon a Place” ed è l’ultima installazione dell’artista afgano-americano Aman Mojadidi, che ha riportato in vita 3 cabine telefoniche e le ha posizionate a Times Square. Sollevando la cornetta si possono ascoltare le storie di immigrati che vivono a New York: storie orali, presentate in forma di telefonate. In tutto il progetto riunisce 70 interviste a persone provenienti da Paesi di tutto il mondo, dalla Sierra Leone al Tibet

di Cristina Barbetta

Si chiama “Once Upon a Place” l’installazione dell’artista afgano-americano Aman Mojadidi in Times Square, a New York. Tre cabine telefoniche, ricordo del passato, dal momento che non sono più quasi presenti nei 5 distretti della città, sono state riportate in vita dall’artista, e suonano ogni 7-9 minuti. Per terra un messaggio invita i passanti ad entrare nelle cabine telefoniche e ad alzare la cornetta: «Prenditi un momento, entra in una cabina» e «Alza il ricevitore e ascolta». Nelle cabine si possono ascoltare le storie degli immigrati della città: presentate in forma di telefonate, sono storie orali del loro percorso individuale, che tocca temi quali l’appartenenza e il trasferimento.

Per realizzare il progetto Mojadidi, figlio di genitori afghani di Kabul emigrati in Florida, che vive oggi a Parigi, ha passato un mese a cercare quartieri di immigrati in città, individuando i partecipanti al progetto in moschee, sinagoghe e centri comunitari, si legge su artnet. Per due mesi ha registrato le storie degli uomini e delle donne che hanno lasciato la loro terra d’origine per New York. Il risultato? 70 storie raccolte in tutta la città, storie di persone provenienti dai 4 angoli del mondo, dalla Cina alla Liberia, dalla Sierra Leone al Tibet.

Mojadidi spera che la sua installazione possa ricordare alla gente l’umanità dei migranti, si legge su un articolo uscito su artnet. «Nell’epoca prima dei cellulari, le cabine telefoniche erano un rifugio, un posto in cui poter entrare e creare una connessione istantanea con amici, familiari, e persone amate. Per Mojadidi, la cabina telefonica si è prestata naturalmente alla natura intima del progetto». Once Upon a Place acquista una particolare risonanza e un particolare valore politico di rivendicazione dei diritti degli immigrati in un momento storico di “isteria anti immigrazione” e di politiche migratorie restrittive perseguite dall’amministrazione di Donald Trump.

«Volevo che la gente capisse che città come New York, grandi città metropolitane in tutto il mondo, sono costruite per la maggior parte dagli immigrati che vengono, lavorano, si stabiliscono e vivono qui», spiega Mojadidi su artnet. «Nessuno di loro dovrebbe essere temuto, ma celebrato e accettato».

L’installazione, che sarà visibile fino al 5 di settembre, fa parte di Times Square Arts, il programma di arte pubblica che collabora con artisti contemporanei per fare sperimentazione artistica in uno dei luoghi urbani più iconici al mondo.

Dice Mojadidi in un articolo uscito sul New York Times: “Spero che l’installazione induca gli ascoltatori a esplorare il proprio lignaggio e a sfidare gli stereotipi sull’immigrazione”.


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