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Rifugiati e sgomberi in città: Appendino batte Raggi 1 a 0

Al contrario di quanto avviene nella Capitale, l’amministrazione del capoluogo piemontese ha gestito e continua a gestire lo sgombero di immobili occupati in modo sostenibile. Grazie a progettualità e collaborazione con il terzo settore

di Gabriella Meroni

Un modello virtuoso, fatto di collaborazione tra Comune, Diocesi e volontariato. Sta qui il segreto di Torino, città che da mesi sta lavorando per evitare che nelle palazzine occupate dell'ex Moi (il villaggio costruito per le Olimpiadi del 2006 sugli spazi dell'ex mercato ortofrutticolo) si ripeta l’incresciosa vicenda di Roma, con gli scontri tra rifugiati e polizia vicino alla stazione Termini. Ne dà conferma (in un’intervista a La Presse) Sergio Durando, responsabile per la Diocesi di Torino della pastorale migranti, facendo il punto sulla situazione dei circa 800 profughi che dovranno lasciare gli alloggi occupati, proprio come è accaduto nella capitale. Un contesto del tutto diverso, se non fosse che per un tratto in comune: le due città sono infatti entrambe amministrate da sindaci donna appartenenti al Movimento 5 Stelle.

Con risultati, però, molto diversi almeno sul fronte immigrazione. Il Piemonte riceve tra il 7% e l'8% dei migranti sbarcati in Italia e di questi il 40% è destinato alla provincia di Torino, dove i richiedenti asilo, contando anche le accoglienze Sprar, al momento sono circa 7mila. A Torino – spiega Durando – funziona un modello integrato, fatto di collaborazione tra soggetti del terzo settore come cooperative, parrocchie e centri sociali, coordinati con le istituzioni. A Roma sono stati sgomberati in 400, all'ex villaggio olimpico dovranno andarsene più di 800 persone con il permesso di soggiorno umanitario. Ma il futuro si prospetta più roseo, grazie al protocollo di intesa siglato tra Città, Regione, Prefettura, Compagnia di San Paolo a cui partecipa anche la Diocesi «per programmare questo passaggio e inserirlo in una progettualità». Il tavolo tecnico si è riunito e continua a farlo tutte le settimane da quattro mesi e non è in programma nessuno sgombero a Torino.

Secondo l’esponente della Diocesi, oggi «la differenza maggiore che sembra vedersi fra Torino e Roma è che qui a Torino c'è una progettualità e una capacità di dialogo e collaborazione tra terzo settore e istituzioni sia pubbliche che private. Per le persone dell'ex villaggio olimpico sono già attivi dei corsi di formazione da saldatori e da cuochi, mentre una decina lavora nei porti di Genova e Marghera. In tutto sono già stati coinvolti in percorsi di inserimento sociale e lavorativo 40 profughi. E prima sono stati fatti dei corsi di lingua italiana».

Quanto alla sistemazione dei profughi, ci penserà il Comune, che sta per pubblicare un bando finalizzato all'emergenza abitativa che terrà conto anche di queste persone, oltre a mettere a disposizione qualche alloggio. La diocesi, dal canto suo, fornirà 80 posti a turnazione per tre anni: in totale 240 immigrati saranno accolti nelle parrocchie, e in altre strutture di proprietà della Diocesi. Una scelta che mira a evitare le concentrazioni che spesso sanno di ghetto, e che fanno da innesco a tensioni sociali spesso incontrollabili.


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