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Cooperazione & Relazioni internazionali

L’inevitabile chiusura dei centri di detenzione in Libia

Per Nino Sergi, presidente emerito di INTERSOS e policy advisor di LINK 2007 «assistere le persone recluse nei centri di detenzione può significare riconoscere e prolungare questo sistema criminale. Si aprano centri di transito alternativi e protetti gestiti dalle ong»

di Nino Sergi

Forte è la preoccupazione e l’inquietudine per le condizioni disumane e le sofferenze delle persone nei centri di detenzione libici. Assisterle, come già alcune organizzazioni stanno meritoriamente facendo per portare sollievo alle loro sofferenze, senza provvedere ad un radicale cambiamento di questa situazione, può significare al contempo riconoscere e prolungare questo sistema criminale. L’esperienza nelle gravi emergenze ha insegnato che le modalità di avviamento di un intervento umanitario ne determinano l’evoluzione, che spesso si riduce al suo prolungamento indefinito. L’avvio di nuove attività di assistenza agli emigranti illegalmente detenuti, sfruttati e abusati, è ora proposto anche a livello governativo. Dove ci sono le condizioni per poterlo fare, è indubbiamente utile; in particolare attraverso le organizzazioni umanitarie presenti in Libia o che abbiano già operato in contesti di crisi in modo imparziale, indipendente e con precise procedure di sicurezza. Il rischio è però quello di contribuire al prolungamento di questi centri disumani, dato anche che si tratta degli stessi centri in cui vengono riportati gli emigranti “salvati” in mare dalla guardia costiera libica. Che le Ong, dopo essere state vituperate e criminalizzate per mesi per aver salvato vite umane, siano ora chiamate ad intervenire in tali centri, può apparire strumentale ad altri fini politici: esse potranno farlo, nel caso avessero la preparazione ad operare in tali rischiosi contesti, solo avendo la garanzia della totale indipendenza nell’azione umanitaria e della messa in atto di indifferibili decisioni.

Una posizione comune è stata assunta in questi giorni dalle Ong della rete LINK 2007 che è andata decisamente al nodo del problema: la chiusura dei centri. Le Ong premono perché siano ampliate le intese politiche in atto con le autorità libiche, ai livelli nazionale e territoriale, per mettere fine alle detenzioni, agli abusi e alle sofferenze inaudite di migliaia e migliaia di esseri umani, tra cui molte donne e bambini. Se si sono trovati accordi per trattenere gli emigranti, a fortiori nuove intese devono ora riguardare la chiusura dei centri. Costerà certamente qualcosa, ma è un dovere a cui né il Rappresentante speciale dell’ONU, né la Commissione europea, né il Governo italiano che ha un ruolo speciale nella pacificazione e ricostruzione della Libia, possono continuare a sottrarsi.

Un preciso e definito programma di chiusura coordinato dall’UNHCR e dall’OIM, può al contempo permettere la partecipazione di Ong umanitarie e il coinvolgimento di personale libico a ciò formato, al fine di contribuire ad accelerarne il processo. Per poterlo fare, non basta il consenso libico ma occorre creare le condizioni per potere aprire centri di transito alternativi nei quali assistere e tutelare, proteggendole in sicurezza, le persone liberate, anche per valutare il loro personale destino. Per evitare una protezione ‘di parte’, che si contrappone problematicamente ad ‘altre parti’, si impone un contingente neutrale dei Caschi Blu dell’ONU per garantire la sicurezza dei centri. Già ne sono stati autorizzati 150 per proteggere il Rappresentante Speciale e gli alti funzionari dell’ONU a Tripoli: non dovrebbe essere impossibile farne autorizzare altre centinaia per la protezione dei nuovi centri di transito. Qualche passo è stato fatto in questi giorni all’Assemblea Generare dell’ONU, anche grazie all’iniziativa italiana, e c’è un impegno del Segretario Generale Antonio Guterrez a procedere in questa direzione. Sono i tempi a dovere essere ora accelerati.

I centri protetti, gestiti dalle organizzazioni umanitarie internazionali, permetteranno:

  • 1 – L’immediata organizzazione dei trasporti, ampliando e rafforzando i programmi di ritorno assistito dell’OIM, per coloro che, delusi dal sogno migratorio, chiedono di essere aiutati a ritornare a casa;
  • 2 – La valutazione da parte dell’UNHCR delle richieste di protezione internazionale, distribuendo nei paesi europei e in altri disponibili quelle accolte e avviando le altre ai programmi di ritorno assistito; iii) la libera scelta del migrante di rimanere il Libia per lavoro, se autorizzato, o di procedere autonomamente per altre mete africane permesse.

Occorrerà, in ogni caso, affiancare tali attività con programmi di assistenza e sostegno alle fasce libiche più vulnerabili: molte sono infatti le persone rimaste senza casa, lavoro, mezzi di sostentamento. Sarebbe un grave errore non aiutarle.

I sindaci, con i quali il governo italiano ha stabilito partenariati per la lotta al crimine e per lo sviluppo sociale e infrastrutturale dei propri distretti, potranno auspicabilmente essere coinvolti e responsabilizzati, insieme ad altri nelle aree orientali appena possibile. Centri di transito e protezione per gli emigranti, gestiti sempre dalle organizzazioni umanitarie internazionali, potrebbero essere realizzati anche sotto la loro protezione e garanzia della piena sicurezza. Tenendo presente che dalla gestione dei centri trarrà beneficio anche l’economia locale per quanto riguarda le forniture di cibo, acqua, servizi, mezzi di trasporto, sicurezza, in aggiunta a quanto stabilito per le attività di sviluppo che sono state richieste dai sindaci all’Italia e al finanziamento europeo. In questo ambito decentrato, stabilendo rapporti e partenariati con le autorità e la popolazione dei territori, lo spazio di azione delle Ong può essere certamente ampio ed efficace.


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