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Pesce fresco, frutta e gelati: la legge antispreco ha allargato il menù

A un anno dall'entrata in vigore della legge che regola la donazione di prodotti alimentari, la GDO ha segnato un +20% di donazioni. Ma la vera novità è l'aprirsi di nuovi settori, che hanno innalzato anche le capacità delle associazioni. Maria Chiara Gadda: «mi piacerebbe estendere la legge anche ad altri prodotti, dall'igiene personale al materiale scolastico»

di Sara De Carli

Il 14 settembre 2017 ha compiuto un anno la legge contro gli sprechi alimentari, tecnicamente la numero n. 166/2016 "Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi". La legge è, per l’Italia, la vera eredità di Expo2015: dopo la legge le donazioni della GDO hanno segnato un +20%, ci sono realtà della GDO che hanno completato la copertura, cioè oggi raccolgono le eccedenze in tutti i loro ipermercati. Le donazioni di Coop Italia ad esempio corrispondono a 7 milioni pasti. Ma soprattutto nuovi settori hanno iniziato a recuperare e donare cibo. Ortofrutta, pane, pesce fresco, gelati, cibo cotto, buffet… conservare questi cibi è più complesso ma fanno fare un salto di qualità all'alimentazione delle persone che li ricevono. Maria Chiara Gadda, deputata Pd, classe 1980, varesina, è stata la prima firmataria della legge e oggi racconta di un percorso che sta continuando, in linea con il lavoro che alla legge ha portato.

In che senso il suo lavoro continua, onorevole?
La legge nasce da un lavoro fatto con chi la deve utilizzare, in particolare con tutta la filiera e le associazioni di volontariato, strutturate nazionali ma anche realtà piccole. Sono tre anni di lavoro: uno per scrivere la legge, uno di lavori parlamentari, uno dopo, per spiegare i contenuti affinché possa essere utilizzata, girando l’Italia in lungo e in largo per spiegarne i punti di forza.

Quali sono i punti di forza della legge?
Intanto vorrei chiarire la differenza rispetto alla legge francese: in Francia sono partiti dal concetto di “rifiuto”, mentre la nostra legge parte dal concetto di “eccedenza”. Parlare di eccedenza da recuperare è diverso intanto dal punto di vista culturale, poi perché coinvolge tutta la filiera e infine per ragioni organizzative. Noi parliamo di prodotti buoni, sani, sicuri da intercettare per fini di solidarietà sociale prima che diventino rifiuto e spreco. Questo significa strutturare una filiera del recupero che va dal campo al frigorifero di casa, passando la GDO.

Lavorare su tutta la filiera è più strategico ma anche più complesso…
Certo, ci sono elementi di complicazione, perché è diverso recuperare nell’ortofrutta o nella GDO. La cosa bella di questo anno però è proprio il fatto che si siano attivati molti progetti nuovi, soprattutto nei settori più complicati, ad esempio i cibi freschi, i freschissimi o quelli cotti, per cui è necessario mantenere la catena del freddo o del caldo. È una cosa che richiede un salto organizzativo anche per le associazioni di volontariato, perché la catena deve arrivare fino alla casa del consumatore finale. Le associazioni si sono “professionalizzate”, adesso spesso sono loro che vanno a recuperare il cibo, poche settimane fa ero a Venezia per la prima tappa di un tour che vede Federalimentare, Federdistribuzione, Unione Consumatori e Banco Alimentare in giro per l’Italia per spiegare la legge agli operatori, ad esempio ai commercianti dei piccoli punti vendita e ai cittadini. Questo però è un passo in avanti fondamentale: per una famiglia in difficoltà un conto è ricevere un pacco alimentare con i classici pasta, riso, legumi e scatolame, un altro è poter mettere in tavola frutta e verdura fresche, carne, pesce fresco. È questa la novità che si sta costruendo. L’altro elemento in crescita sono i market solidali – ormai sono un centinaio in Italia, praticamente ogni settimana mi invitano all’inaugurazione di un nuovo market solidale – e i ristoranti solidali: è un passo in più nel rispetto della dignità della persona, perché sappiamo che spesso oggi i nuovi poveri hanno difficoltà a palesare il bisogno e ad accedere ai servizi tradizionali. Avere un Terzo Settore strutturato che faccia da interfaccia con le persone in povertà è importante perché la legge non riguarda meramente la distribuzione di alimenti ma afferma che si risponde a un bisogno sociale, in questo caso quello alimentare, attraverso una relazione. Il fatto che ci sia un’associazione che con i suoi volontari entra nelle case, incontra le famiglie o che al market solidale accompagna a fare una spesa alimentare equilibrata, ad esempio spiegandoti che non puoi comprare solo patatine, è la vera misura di contrato alla povertà.

Dal punto di vista dei numeri, che risultati può citare la legge in questo anno?
L’Italia conosce da tempo la donazione, ma c’era bisogno di dargli slancio e soprattutto di avere una legge che desse un quadro omogeneo alle norme, mettendo insieme tutte le questioni legate alla donazione, da quelle igienico-sanitarie a quelle responsabilità civile, per chiarire quando si ferma quella di chi dona e inizia quella di chi riceve la donazione. La confusione non aiuta, perché nel dubbio non dono: se invece so esattamente qual è la mia responsabilità, cosa posso donare e cosa no, la donazione diventa più plausibile. Oggi donare è più conveniente che buttare. La GDO è la realtà più abituata a misurare e in questo anno, dopo la legge, loro hanno registrato un +20% nelle donazioni di prodotti. I grandi numeri per il momento sono qui, ma credo davvero che possiamo aspettarci molto dai nuovi progetti che si stanno avviando là dove il recupero delle eccedenze è più complesso e quindi si faceva meno: all'Ortomercato di Verona e Napoli ci sono progetti per il recupero di prodotti ortofrutticoli, l’emporio solidale di Lecce ha recuperato addirittura gelati, stanno partendo esperienze nel banqueting, per matrimoni, buffet, banchetti, dove i prodotti sono molto difficili da recuperare perché sono già stati a temperatura ambiente per diverse ore ma al contempo sono di altissima qualità, Banco Alimentare ha fatto un accordo con i medici delle Asl, per controllare la filiera. In Italia abbiamo avuto poi il primo caso al mondo di donazione da parte di una nave da crociera, la Diadema di Costa crociere: finora il cibo recuperato nel porto di Savona è destinato a una casa famiglia di Varazze, ma ho appena saputo che il progetto verrà portato anche nel porto di Civitavecchia e in quello di Barcellona. Un altro caso da citare è l’accordo tra il distretto di pesca di Mazara del Vallo e Banco Alimentare per recuperare il pescato sequestrato, che finora andava distrutto: dopo una prima sperimentazione ora c'è un accordo con tutti i distretti della pesca della Sicilia, per favorire azioni di recupero e distribuzione delle eccedenze lungo tutta la filiera del pescato. Oppure il pane, uno dei prodotti alimentari che si butta di più, in alcune regioni si poteva donare e in altre no: nella legge si dice che pane e prodotti finiti possono essere donati entro 24 ore dalla produzione, non più nel giorno della produzione, perché ad esempio un grande supermercato che chiude alle 22, magari ha sfornato il pane alle 19 ma non è detto nel paese ci sia un’associazione strutturata per ritirare il pane alle 22… Questo ha permesso in molte realtà di superare gli ostacoli esistenti alla donazione del pane.

Le ricerche dei vari Osservatori però ci dicono che lo spreco avviene per la metà nelle case dei consumatori finali. In questo senso la legge ha dato risultati?
La legge agevola la donazione, rendendola più chiara e meno burocratica, ma allo stesso tempo è ovvio che serve lavorare su noi stessi. Io credo che nessuno sprechi cibo perché decide di sprecare, lo facciamo perché non c’è un’educazione o una formazione giusta. Ad esempio, quanti conoscono la differenza tra data di scadenza e termine minimo di conservazione di un prodotto? Quanti sanno che quando c’è scritto “da consumarsi preferibilmente entro” – vale per la pasta, il cioccolato, i biscotti, lo scatolame… – il prodotto dopo quella data non può più essere venduto ma può benissimo essere consumato, non va buttato? A quella data infatti il prodotto perde il suo valore commerciale, ma non altera le sue caratteristiche micorbiologiche, non è dannoso per la salute. La legge di conseguenza stabilisce che possono essere donati anche i prodotti che hanno superato il termine minimo di conservazione, prodotti buoni che prima venivano distrutti, ma è importante che anche il cittadino sia informato su questo. Lo stesso per le informazioni sulle modalità di conservazione dei cibi, perché spesso disponiamo male nel frigo i prodotti. Serve una legge nazionale per dirlo? Evidentemente sì.

La legge prevede la possibilità che i Comuni di ridurre le tasse sui rifiuti alle imprese che decidono di donare alimenti ai bisognosi. È accaduto?
Sì, in diverse decine di comuni. Alcuni molto piccoli ma anche città 80mila abitanti, negozi del piccolo commercio, primo è stato il Comne di San Stino di Livenza, in provincia di Venezia, ma lo hanno fatto ad esempio anche Varese ed Empoli. Diciamo che queste esperienze per il momento sono concentrate nel Nord e Centro Italia. Al Sud però c’è stato un vero boom di donazioni, è vero che si partiva da numeri molto più piccoli, però è il segno che questa legge serviva, ha mosso qualcosa, ha intercettato un bisogno e anche la voglia delle aziende di fare la loro parte. Un altro effetto bello della legge sono le tantissime aziende che hanno iniziato ad associare la donazione alle politiche aziendali e quindi a presentare un bilancio sociale, raccontando le iniziative che hanno un senso per il territorio in modo che il cittadino possa esercitare la sua capacitò di scelta.

Festeggiato il primo compleanno, ora che obiettivi si dà?
Intanto quello di far crescere i semi piantati. Da questa legge sono nate tante cose, pensi ad esempio alle grandi donazioni che capita di ricevere dall’ortofrutta… Quando una piccola associazione del territorio riceve bancali e bancali di fragole, è difficile che sia in grado di distribuirle tutte agli indigenti, perché magari opera su un territorio piccolo. In questo anno sono nati anche bellissimi progetti legati alla trasformazione dei beni alimentari donati, ad esempio l’associazione “Non solo pane” di Varese ha iniziato anche a trasformare in modo industriale i prodotti: una parte va nei pacchi alimentari e con una parte fanno marmellate e conserve, utilizzando le donazioni e i prodotti di un progetto di orto sociale avviato con la legge 166, che è diventata un’opportunità di lavoro per richiedenti asilo e per alcune persone indigenti. Oppure penso alle app nate per mettere in connessione il negoziante con il cittadino… Dal punto di vista legislativo sto lavorando per fare passi in avanti ulteriori, perché la legge si occupa di beni alimentari e farmaceutici, ma le associazioni hanno bisogno anche di prodotti per l’igiene della persona, garze, cerotti, materiale scolastico… mi piacerebbe estendere la legge anche ad altri prodotti e inserire ulteriori agevolazioni fiscali.


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