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Censire i gruppi e smantellarli: contro le baby gang partiamo da qui

L'allarme baby gang non riguarda solo Napoli, in tante altre realtà si moltiplicano i segnali di una violenza diffusa tra i giovanissimi. Servono azioni sistemiche, ma nell'immediato occorre mettere in campo operatori sociali di strada, esperti, che individuino i leader dei gruppi e li smantellino. Le forze dell'ordine da sole non bastano: ma se un comandante andasse a mangiare la pizza con un ragazzino...

di Sara De Carli

A Napoli verranno inviati 100 uomini in più, fra poliziotti e carabinieri, per il controllo delle zone maggiormente frequentate dai giovani, quelle della “movida”. Lo ha annunciato ieri il ministro Marco Minniti: «Non consentiremo alle baby gang di cambiare le abitudini dei giovani napoletani». Quella delle baby gang di Napoli, con giovanissimi ragazzi che prendono di mira un coetaneo a caso e lo aggrediscono con una violenza fuori controllo è una situazione esplosiva, che davvero preoccupa anche gli operatori più esperti, che meglio conoscono la vita di strada e la marginalità. Non è nemmeno un allarme che riguarda soltanto Napoli. Francesco Mollace è direttore di Civitas Solis e portavoce del Forum Territoriale del terzo settore della Locride, è una delle anime del progetto Crescere al Sud, da pochissimo costituitosi formalmente in una rete di associazioni, dopo alcuni anni di esperienza sul campo. Il progetto mette l’educazione al centro della questione Sud, con una scommessa importante sulla creazione di “comunità educanti”, ovvero sinergie stabili e reali tra scuole, parrocchie, terzo settore, gruppi sportivi, territorio per territorio.

«Quello che sta accadendo a Napoli è eclatante, ma la verità è che ci sono già segnali analoghi – non così forti e non pubblicizzati – anche in altri luoghi del Sud, anche nel mio territorio, la Locride, che ovviamente è quello che conosco meglio. I docenti vedono ma hanno paura di intervenire, perché questi gruppi di ragazzini poi ti fanno il dispetto, ti danneggiano la macchina, non stiamo parlando di bambini delle elementari ma di 15-16enni agguerriti, anche la scuola è sola e da sola non può fare molto, la questione è l’assenza dello Stato», denuncia Mollace.

La dinamica che vede, la riassume così: «ci sono alcuni ragazzini con problematiche complesse, che vengono da una forte povertà educativa, che vivono la violenza come strumento di affermazione. Spesso sono ragazzini con un senso di inferiorità, mi ha colpito che nel caso del ragazzo che è stato accoltellato alla gola, quello che ha dato la pugnalata era il più basso e il più giovane, ma era lui che trainava gli altri: accade spesso, è la debolezza psicologica che si trasforma in violenza. Questi ragazzini diventano leader devianti e manipolano il gruppo, portando il gruppo a fare cose che nessuno di loro, da solo, farebbe. Che fare allora? La prima cosa è smantellare il gruppo».

Ovviamente serve una strategia sistemica, l’alleanza fra la scuola e l’extra scuola, «tutto ciò di cui Marco Rossi Doria ha parlato», afferma Mollace, «ma la povertà educativa del Sud non la ricolviamo in un mese. Allora occorre affiancare anche un’azione nell’immediato e nel qui e ora occorre censire i gruppi “a rischio”, individuarli: per gli operatori sociali che hanno competenze di strada è facile individuare i gruppi di questo tipo e i leader. E poi smantellare i luoghi dove questi gruppi si riuniscono. I ragazzi poi vanno presi singolarmente, con un percorso di tutoring e mentoring. Serve una strategia mirata, non basta fare appelli alle scuole e alle famiglie. Alle scuole vanno date risorse per costruire delle task force con operatori sociali di strada che già sono attivi sul territorio e lo conoscono, per smontare sul nascere i gruppi devianti, quartiere per quartiere. Come operatore sociale la risposta per il qui e ora, mi pare solo questa».

Un censimento dei gruppi di ragazzini, dopo aver messo allo stesso tavolo l’Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni, i servizi sociali, la Polizia, i Vigili Urbani, la scuola, gli operatori di strada esperti. «Le forze dell’ordine da sole non hanno le competenze necessarie per fare questo censimento. Però la Polizia deve individuare chi al proprio interno ha più competenze nel campo sociale e metterlo nel team di area, concretamente. Il comandante qualche volta deve prendere un ragazzino e prenderselo sulla macchina, portarlo a mangiare una pizza… smantellare il gruppo inizia anche così».

Foto Nuccio Goglia / Agenzia Sintesi


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